Spaccaossa, l’umanità che non sa redimersi nel convincente film d’esordio alla regia di Vincenzo Pirrotta

<< Siamo nessuno mischiato con niente >>

È una delle tanti frasi scandite dal protagonista di Spaccaossa, il riuscito film del debuttante alla regia ma attore di spessore Vincenzo Pirrotta presentato nelle Giornate degli Autori al festival di Venezia 2022. Un’opera che sottolinea quanto il coraggio di intraprendere strade diverse dal seminato, proposto spesso dal cinema italiano, alla fine risulti vincente su tutti i fronti. Pirrotta e i suoi cosceneggiatori, Ignazio Rosato, Salvo Ficarra e Valentino Picone-proprio loro- hanno avuto il merito di scrivere un’opera originale in cui viene eliminata l’ansia del fronzolo e del narcisismo. Esiste una durata di 105′ che viene bruciata da una tensione mai artificiale imposta allo spettatore dalla prima all’ultima scena. Non è solo una questione di trama, tratta da un fatto realmente accaduto a Palermo. Piuttosto il cinema diventa mezzo per approfondire un’umanità che non solo ha perduto qualsiasi scrupolo morale ma che dovendo scegliere da che parte stare non rinuncerà mai al proprio ruolo. È la storia del protagonista Vincenzo, interpretato dallo stesso Pirrotta, procacciatore per un gruppo di truffatori, di persone in difficoltà economica disposte a farsi frantumare le ossa pur di incassare qualche soldo per sopravvivere e consentire alla banda di incassare il denaro dell’assicurazione.

Il territorio di chi sta dall’altra parte

Tutto questo avviene in una Palermo spettrale, opaca, decadente, lontana dalle cartoline turistiche, distante dal folclore. È un territorio a parte in cui si muovono e si mischiano disperati e reietti, dove la mutilazione fisica è tremenda allegoria necessaria della sopravvivenza. Gli individui di Spaccaossa stanno dall’altra parte, gli innocenti e i colpevoli quasi a formare un girone infernale da cui nessuno riesce a fuggire. Ognuno succube, imprigionato da questo stato delle cose che il << benefattore >> delinquente Vincenzo frequenta ancora più degli altri. Perché si pone domande, perché avrebbe la possibilità di redenzione, perchè si è innamorato di una ragazza ai margini, una drogata che in lui vede qualcosa in più di una speranza di vita. Ma c’è un rigido protocollo amorale da seguire che è lo stesso, come recita uno dei protagonisti del film, delle api operaie. Devono assolvere al loro compito perché quello è il ruolo imposto. Così Spaccaossa diventa un film su una salvezza negata più che dalla società dalla mancanza di spessore degli uomini.

Una storia di impotenza di un uomo senza qualità

PIRROTTA disegna magistralmente la figura di Vincenzo, la sua impotenza etica che nasce e si evolve nel rapporto vicino al morboso con l’anziana madre, la straordinaria Aurora Quattrocchi, una donna che racchiude in sé stessa tutte le contraddizioni siciliane. In quel suo essere succube e servo Vincenzo sembra aver già firmato fin dalle prime scene la propria condanna esistenziale. È l’uomo senza qualità, manipolabile nel bene e soprattutto nel male che gioco forza diventerà manipolatore.

Le donne inseguono il fantasma della libertà

Per contrasto chi sulle prime appare alla stregua di uno zombie, Luisa la ragazza drogata, da ricordare l’interpretazione di Selene Caramazza,cercherà di agguantare un senso esistenziale, inseguendo il fantasma della libertà di scelta, negato a tutte le altre meravigliose donne del cast. È per questo che il regista segue Caramazza circondandola di pudore, mostrandola estranea a quel mondo, sempre avvolta dal silenzio riflessivo che accompagna il suo vagabondare. Un’anima pura usata da Pirrotta come terzo occhio al pari del personaggio di Simona Malato, un’altra donna alla quale la libertà di scelta è stata negata.

La fotografia di Ciprì rafforza l’opera

DANIELE CIPRÌ è il direttore della fotografia di Spaccaossa. Diventa quindi scontato sostenere che si è in presenza di un film bello anche nelle immagini e nei colori. Nulla è lasciato al caso. L’opacità del colore, le penombre, frazioni di luci da eclisse, si inseriscono in una scenografia dove la precarietà architettonica impera ma rende del tutto naturale i movimenti degli attori. È un contesto perfetto di un film che sebbene il regista indichi in Pasolini il proprio ispiratore, ricorda il primo Larraín-come dimenticarsi dell’uomo senza qualità di Tony Manero?- e in cui il cast non sbaglia una mossa con attori importanti, bravissimi mai macchiettistici che meriterebbero un premio a prescindere. Ora non resta che alla distribuzione mandare in sala Spaccaossa. Perché è un bel film, solido, di qualità e non sarebbe giusto spedirlo come spesso accaduto nel regno dei dimenticati prima ancora che la gente lo conosca e apprezzi.

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