Il signore delle formiche: la spietata ipocrisia dell’Italia anni’60 vista attraverso il caso Braibanti

I bigotti tutti assieme appassionatamente

Sono i continui rimandi metaforici sulla vita delle formiche a caratterizzare l’ultimo film di Gianni Amelio. Non tanto perché Aldo Braibanti fu, oltre che un intellettuale e artista dalle mille attitudini, un apprezzato mirmecologo quanto per il fatto che le formiche tendono a restare assieme, a possedere quello stomaco comune che favorisce l’organizzazione sociale, a dispetto delle esigenze del singolo. È ciò che Luigi Lo Cascio, ovvero il professor Braibanti, mostra all’allievo Leonardo Maltese, che nel film viene chiamato Ettore Tagliaferri invece che Giovanni Sanfratello, nella parti iniziali de Il Signore delle Formiche. Il problema è che Braibanti e Sanfratello in quella fine degli Anni’60 erano all’opposto degli insetti dentro una teca. Cercavano la propria libertà di scelta e di sentimenti, formiche ribelli bloccate nel loro tentativo da un’idea di bene comune diversa. La teca era l’Italia bigotta, ipocrita in cui il cattolicesimo di facciata della provincia emiliana andava a braccetto con i pregiudizi, le convenzioni sul comune senso del pudore a cui si assoggettavano persino molti esponenti del partito comunista di cui lo stesso Braibanti faceva parte.

Un racconto rigoroso che non fa sconti a nessuno

Gianni Amelio descrive la vicenda del caso Braibanti con l’alternanza iniziale dei piani temporali: parte dal momento in cui la famiglia di Sanfratello-Tagliaferri rapisce il proprio ragazzo per internarlo in una casa di cura psichiatrica. Poi va a ritroso, indagando sulla nascita della relazione tra il giovane e Braibanti. Braibanti di Luigi Lo Cascio– non perdetevi la sua breve ma intensa interpretazione nel recente Spaccaossa-(Spaccaossa, l’umanità che non sa redimersi nel convincente film d’esordio alla regia di Vincenzo Pirrotta)-è un intellettuale combattuto, diviso tra dolcezza estrema e improvvisi attacchi di rabbia nei confronti dei suoi allievi. La scena della prova teatrale è indicativa e molto forte per inquadrare la figura dell’intelletuale e della sua idea di teatro. Messinscena dove la parola è espressione di crisi; va spezzata, urlata, fatta morire per trasformarsi in gesto. Chi non si adegua è sottoposto alla crudeltà dell’autore e regista Aldo Braibanti.

Il tribunale d’inquisizione condanna eretico e eresia

Il Signore delle Formiche non è il racconto di una semplice storia di un amore, interrotta dalle convenzioni sociali in voga alla fine degli Anni’60. È qualcosa in più. Non a caso il film migliora quando entra in scena la figura del giornalista, interpretata da Elio Germano, incaricato di seguire le fasi processuali. Prima di allora la sceneggiatura stava rischiando il blocco della propria evoluzione narrativa, confinata troppo a lungo nella descrizione di atteggiamenti e risvolti psicologici già mostrati nella parte iniziale. Correva il pericolo di essere un’opera bella in cui la forma prendeva sopravvento sulla sostanza, celando la vera essenza dei personaggi di Lo Cascio-Braibanti e di Ettore-Sfratello. È nella descrizione del dibattimento di primo grado, quello che condannerà a nove anni l’imputato, che Il Signore delle Formiche cresce di intensità. L’accusa di plagio per nascondere il vero motivo di chiamata in giudizio, l’omosessualità, è il terminale del pregiudizio sociale che porta il tribunale a trasformarsi in una vera e propria inquisizione. Braibanti è l’eretico, la sua sessualità l’eresia. Per questo va posto al rogo, per questo Braibanti non si difende. È un uomo solo che antepone il silenzio, quindi il gesto, a un nulla codificato.

Un finale lirico sulle note dell’Aida riscatta qualche forzatura

Ero molto giovane quando il caso Braibanti scatenò un movimento d’opinione ma ne ho memoria. Nonostante le contestazioni, la protesta non coinvolse la maggioranza di chi stava iniziando le lotte sessantottine(in Italia arrivarono dopo quell’anno ed è bene ricordarlo). In molti preferivano la convenzione delle marce contro la guerra del Vietnam piuttosto che mostrare vicinanza a una reale esigenza di libertà, molti media si adeguarono allo status quo. Amelio non lo dimentica e con una forzatura-che non mi ha convinto- mostra il volto di Emma Bonino in una scena, sia per rendere omaggio a chi si è battuto per la parità dei diritti sia per ammonire sul presente. Ma si riscatta con un finale melodrammatico in cui le note del quarto atto dell’Aida, fanno da sfondo all’ultimo incontro immaginario tra Braibanti e Ettore mentre attori stanno provando una recita e un gruppo di comparse gioca a calcio accanto al palco. T’avea il cielo per amor creata ed io t’uccido per averti amata, no non morirai, troppo t’amai, troppo sei bella è il congedo definitivo con la pioggia che sembra purificare l’aria, portare il film e i suoi protagonisti, finalmente liberati dagli schemi anche recitativi in un’altra dimensione. Quella romantica dell’impossibilità di un amore terreno che riporta al concetto poetico di Esenin con << questa separazione voluta dal destino ci promette un incontro futuro>>.

Un film corale tra i migliori del regista

Il Signore delle Formiche non è perfetto: come accennato a volte si blocca su situazioni e intrecci psicologici già trattati. Ha il limite di mostrare alcuni personaggi sotto un’ottica unica, mi riferisco soprattutto alla madre e al fratello di Ettore, privandoli di un necessario approfondimento. Sono più vicini a maschere stereotipate, la bigotta e un ragazzo geloso, che alla realtà. Nel complesso però è una delle opere migliori del regista. Amelio racconta il passato per ammonire sul presente, senza mostrare eccessiva fiducia sulle convenzioni morali che determinano il vivere sociale. Da rimarcare l’intensità interpretativa di Luigi Lo Cascio, Elio Germano e dell’esordiente Leonardo Maltese, il cui personaggio cresce di livello nella seconda parte del film, quando la sceneggiatura gli permette di rivelare il suo vero volto dopo una prima in cui la figura del giovane appariva imprigionata da una certa ambiguità.

Condividi!