Un Eroe: magistrale esempio di scrittura cinematografica da parte dell’ immenso Farhadi

Non ci sono scuse: il film è imperdibile

Con Un Eroe Asghar Farhadi torna alle atmosfere e ai temi che hanno contraddistinto l’intera sua produzione prima del non troppo riuscito Tutti Lo Sannohttps://guidoschittone.com/tutti-lo-sanno-farhadi-piu-di-mestiere-che-di-ispirazione/– e lo fa in modo ottimale. Non importa che a Cannes il suo film abbia soltanto vinto-ex aequo- il Gran Premio della Giuria quando avrebbe meritato qualcosa in più. Ciò che è fondamentale è che si tratta di un’opera importante e imperdibile, la migliore tra quelle che ho visto negli ultimi mesi, dove il regista iraniano estrae dal proprio cilindro tutto ciò che ha imparato in questi anni, riuscendo ad amplificare e a portare al massimo splendore cinematografico le tematiche attorno a cui l’intera sua opera si basa.

La forza di una sceneggiatura perfetta

Il segreto è nella scrittura, nel modo di concepire la storia, nella scelta dei tempi, mai una pausa, nella creazione di un vero e proprio gioco ad incastri che portano in contemporanea personaggi e spettatori a rimanere imprigionati dall’identico groviglio emozionale. Con l’annullamento della distanza tra schermo e sala Un Eroe supera esso stesso i confini del mezzo per insinuarsi in chi osserva. E quando il regista riesce nell’operazione non si può non riconoscergli la grandezza. Perché, come in altre storie raccontateci da Farhadi, Un Eroe inizia con una persona che esce da una porta e entra in un incubo individuale attraverso un piccolo fatto, una cosa che sembra da nulla che poi si rivelerà devastante per la sua esistenza e per quella delle persone che gli stanno accanto. In questo caso si tratta di un uomo uscito con un permesso di due giorni dalla prigione in cui è rinchiuso per non avere saldato un debito con un parente. Di più non si può dire, perché spoilerare sarebbe un delitto di lesa maestà.

Verità e menzogna opposti che si annullano

Verità e menzogne procedono di pari passo in perenne lotta tra loro. Non importa che nessuna prenda il sopravvento sull’altra: in tutto il cinema di Farhadi non si arriva mai a una conclusione chiara e certa. Tutto resta in sospeso come se dalla verità scaturisca la menzogna e da quest’ultima la prima. Lo era stato in Una Separazionehttps://guidoschittone.com/eiraniano-il-film/– ancora di più ne Il Passatohttps://guidoschittone.com/le-splendide-false-verita-di-asghar-farhadi/– ma in Un Eroe siamo vicinissimi all’evoluzione delle tematiche de Il Clientehttps://guidoschittone.com/il-cliente-il-thriller-etico-del-sempre-piu-bravo-asghar-farhadi/– perché attorno al dilemma etico si innescano i sensi di colpa, l’umiliazione dell’uomo onesto, la difesa degli interessi corporativi e individuali, forma e sostanza di una società allo sbando, la cui unica stella polare sembra essere l’apparenza, il fingere di essere sani.

Benvenuti in un mondo di ipocriti

L’ipocrisia, già presente in tutte le opere precedenti, è appunto la stella polare che determina gli avvenimenti di Un Eroe: la novità è che Farhadi sembra allargare ancor di più la propria visuale. Nel mondo del regista iraniano ogni regola morale è ormai deflagrata, quasi che non esista più alcun tipo di speranza. Rispetto alle opere che abbiamo citato, Un Eroe prende di mira anche i social network, li fa entrare nel contemporaneo come artifizio per creare altre falsità, non importa siano esse a fin di bene o per il discredito altrui. È un circolo vizioso che diventa ingranaggio perfetto per modificare lo stato delle cose, per ricattare, per costringere l’avversario a scendere allo stesso livello.

Sporcare l’innocenza per salvarsi

I personaggi del film, corale e con cast strepitoso, sporcano l’innocenza altrui per giustificare loro stessi e il loro essere nel mondo. Lo fanno per svariati motivi; non importa siano burocratici, sentimentali, di comodo. In ognuno di essi si annida sempre il tarlo del sospetto sulle azioni altrui. Lo è tra consanguinei-la sorella del protagonista che nelle prime scene dubita delle scelte del fratello-, tra i piccoli funzionari di stato, tra i finti buonisti delle associazioni benefiche, tra chi vuole approfittare di un gesto-nobile o doveroso? altro dilemma posto nel film- di una vicenda che si abbatte come un macigno sull’uomo qualunque, molto kafkiano, Rahim-grande interpretazione da parte di Amin Jadidi– che in ogni caso non è immune da responsabilità pregresse.

Non è solo l’Iran a essere messo sotto accusa

Sulle prime parebbe che la mannaia di Farhadi voglia abbattersi sull’Iran, di cui Un Eroe è ennesima e spietata fotografia. I personaggi si muovono in un contesto in cui tutto è vero fino a prova contraria. Si finisce in carcere per saldare un debito ma dal carcere si esce in permesso premio più volte. Il chador si indossa più che altro per nascondere una borsa che è meglio non mostrare. Si promettono nuovi lavori o un lavoro, a patto che nei social network qualcuno non adombri l’ombra del tranello o della maldicenza. Si raccolgono in grottesche convention somme considerevoli per salvare qualcuno dai debiti ma poi è meglio destinarli ad altri per evitare la pena capitale e figurare ancora meglio di fronte all’opinione pubblica. L’Iran di Farhadi è questo e fin qui, pensiamo a Una Separazione, non c’è poi molto di nuovo. Ma in Un Eroe l’ottica porta a premere il grilletto contro il singolo; quando scrivevamo di un allargamento di campo intendevamo proprio questo. Qui è il concetto stesso di umanità a ricevere una dolorosa e pessimistica rivisitazione.

Un bimbo balbuziente simbolo dello stato delle cose

Il simbolo dello stato delle cose è il giovane figlio del protagonista, un ragazzo che si aggira per strade e uffici sempre con il certificato incorniciato della << buona >> azione paterna compiuta. La sua balbuzie non è solo un grimaldello utile alla causa popolare per creare commozione o compatimento. È nella realtà l’essenza impietosa di ciò che è l’individuo inserito in un nucleo sociale. Imprigionato all’interno di una cupola in cui l’osservare è forse rimasto l’unico esercizio immacolato concesso all’uomo. Il resto è turbamento , paralisi di sgomento che nessun metaforico logopedista sarà mai in grado di sbloccare. Perché verità, menzogna, ipocrisia ad Asghar Farhadi paiono sempre più un fluido unico destinato a sommergere l’umanità, finanche quella sottile linea d’ombra che divide la luce del vivere << civile >> dall’oscurità del carcere.

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