The Mauritanian, un buon film fin troppo civile

Uno schema semplice che appassiona

The Mauritanian di Kevin MacDonald è un film semplice, diretto, schematico ma assai godibile. Si inserisce nel filone del cosidetto cinema civile, attraverso cui gli Usa-la coproduzione però è della britannica BBC- sembrano accusarsi di nefandezze per poi assolvere la coscienza autodenunciandosi. Si parla di Guantanamo, del suo folle regime disumano, della caccia alle streghe che seguì gli attentati dell’11 settembre 2001, della colpevolizzazione, senza prove apparenti, di chiunque fosse in odore di connivenza con Al Qaeda.

Guantanamo Diary come base di partenza

Fu il caso, noto, di Mohamedou Ould Siahi, ingabbiato a Guantanamo dal 2002 al 2016, autore de il Guantanamo Diary in cui ha raccontato le proprie peripezie giudiziarie e di come gli venne estorta una confessione sotto l’effetto di una disumana oppressione fisica e psicologica. Da questa storia MacDonald, già autore de L’Ultimo Re di Scozia e del docufilm vincitore dell’Oscar 2000 Un giorno a settembre, ha sviluppato una sceneggiatura classica, priva di soluzioni originali, restando nel solco del politicamente corretto.

Troppo schematici i personaggi di Foster e Cumberbatch

Il limite di The Mauritanian è quindi alla fonte: ci sono due personaggi contrapposti, l’avvocato eroina dei diritti civili interpretata da Jodie Foster e l’ufficiale di aviazione a cui viene chiesto di rappresentare il governo degli Usa nel tentativo di giungere a una sentenza di pena capitale, Benedict Cumberbatch, che alla fine giocano la stessa partita, basata sull’indignazione, sull’onestà, sulla presa di coscienza. Troppo buoni, troppo schematici, troppo trasparenti per caratterizzare un reale travaglio interiore. Le due stelle ci mettono il massimo delle professionalità ma il risultato non cambia di molto. Fin dall’inizio lo spettatore sa già quale piega prenderanno gli eventi e questo non aiuta la tensione drammatica.

La migliore performance è di Tahar Rahim

Jodie Foster per la sua interpretazione dell’avvocato Nancy Hollander ha vinto il Golden Globe ma il vero eroe di The Mauritanian è il sempre più bravo Tahar Rahim che da Il Profetahttps://guidoschittone.com/il-racconto-amorale-di-audiard/– passando per Il Passato-https://guidoschittone.com/le-splendide-false-verita-di-asghar-farhadi/– e da una serie di interpretazioni magistrali qui diventa l’opposto del personaggio di Ali Soufan di The Looming Tower. Non più un agente integrato nel sistema ma un uomo prelevato dalla propria terra, sbattuto in una cella, senza alcuna prova certa di essere colpevole. Ed è sul ruolo dello splendido attore francese che MacDonald incentra-e fa bene- la storia come se quello di Foster e Cumberbatch sia di semplice raccordo, di pura confezione.

Benvenuti nel loop dell’orrore

La parte meglio riuscita del film è proprio quella che riguarda le condizioni del prigioniero. MacDonald ci accompagna in un vero e proprio viaggio nel e del terrore. Si inventa scene traslate da percorsi onirici in cui brutture, crudeltà, vessazioni , devastano o cercano di devastare la psiche di Siahi, ovvero Rahim, oltre ogni limite. L’autore non fa sconti alle autorità né ai governi che in quegli anni si succedettero e che permisero un regime carcerario così disumano. È il maggior pregio di The Mauritanian, accresciuto dalla fredda e pragmatica visione con cui il regista descrive connivenze, omertà del sistema militare americano e degli apparati di sicurezza che per troppo tempo falsificarono prove o cancellarono senza alcun scrupolo le vere dichiarazioni dell’imputato.

Un finale troppo buonista

Per noi che il politicamente corretto non amiamo né cerchiamo a tutti i costi il lieto fine The Mauritanian delude soprattutto nel finale, troppo edulcorato, troppo ruffiano alla luce di tutto ciò che si era visto in precedenza. Sembra quasi che la stessa indignazione che il regista aveva trasmesso agli spettatori fino a qualche minuto prima venga meno a favore di un vogliamoci tutti bene. Sono le esigenze di cassetta e anche di trovare del buono laddove c’è del marcio per non urtare la sensibilità di nessuno.Avremmo preferito qualche graffio in più e qualche lode alla paladina dei diritti civili, Foster, in meno. Ma il il film non è da disprezzare. Regge alla grande le due ore di durata e brilla, lo ripetiamo, soprattutto per la prova completa di Tahar Rahim, bravissimo nel rappresentare le ambiguità del proprio personaggio e nel non fargli mai perdere la credibilità. The Mauritanian è presente dal 3 giugno sulla piattaforma di Amazon Prime.

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