Shorta, benvenuti nella zona d’ombra

Un film sorprendente per tensione e profondità

La cinematografia danese ci sta abituando ormai da anni a parecchie e positive sorprese. Dietro ai maestri, Lars von Trier, Susan Bier, Nicolas Winding Refn,Thomas Vinterberg, Anders Thomas Jensen e tanti altri, esiste un gruppo di giovani che non esita a dirigere film magistrali che mettono in luce la doppiezza di una nazione in cui sotto l’apparente calma e serenità pulsano violenza, diffidenza, ansia di ribellione. Non è un caso che qualsiasi autore danese ami penetrare nelle pieghe psicologiche di un popolo molto differente dall’immagine che trasmette. Shorta, in arabo polizia, si inserisce alla perfezione nel contesto. È un film poliziesco e allo stesso tempo sociale, violento con vasti spazi di umanità. Soprattutto è un’opera intelligente e amara che inchioda lo spettatore dalla prima all’ultima scena.

Semplicità che cela amare riflessioni

Presentato alla Settimana della Critica veneziana del 2020 e stellina della piattaforma Prime di queste settimane, Shorta è l’opera prima di Anders Ølholm e Frederik Louis Hviid. Nel quartiere proibito di Svalegärden un ragazzo arabo è stato malmenato a sangue da un gruppo di poliziotti. Due di questi vegono sospesi dal servizio: il terzo sarà affiancato da un giovane meno esperto che dovrà allo stesso tempo controllarlo e fare pattuglia con lui. Fin qui lo schema è classico: c’è il tipo violento e quasi stanco del proprio mestiere e il più giovane che cerca di seguire l’etica. Il problema è che, nonostante ci siano ordini di non avvicinarsi al ghetto per non provocare ulteriori incidenti, i due ci si ritroveranno dopo avere controllato un pregiudicato. E da quel momento la loro vita si rivelerà un inferno. Bloccati in un quartiere specchio di tutti i ghetti difficili, dove la diffidenza si trasforma ben presto in violenza, i due entreranno in un vero e proprio girone infernale da cui sarà difficilissimo uscire.

Non è il solito action movie a tesi prestabilita

Il principale merito dei due giovani autori in sede di scrittura è stato di non aver svolto il solito compitino a tesi, dove i poliziotti sono tutti razzisti e i musulmani vittime dell’emarginazione. I ruoli nell’inferno di Svalegärden continuano a mischiarsi. Il poliziotto violento compie una serie innumerevole di sciocchezze per poi prendere coscienza dei propri errori. Quello << buono >>, di cui sospettiamo sia preda di propri incubi privati, dovrà a volte mettere da parte il senso di giustizia. Gli arabi saranno ripetutamente vittime degli attacchi e dei furti dei pakistani, altri cercheranno di ritrovare, proprio in virtù dell’incontro con i poliziotti, un senso a esistenze che sembrano già segnate, altri ancora saranno destinati a delinquere.

La realtà del ghetto spiegata dall’assenza di schemi

Ølholm e Hviid penetrano nel contradditorio tessuto sociale danese privilegiando l’azione e da questa giungendo all’amara verità di mondi che solo incontrandosi avranno la possibilità di confrontarsi tra loro. Solo che ogni occasione sembra sempre giungere in ritardo, regalando impossibilità e quindi guerra e un pessimo futuro. È il segreto di questo action movie che non lascia alcun margine di respiro allo spettatore. La tensione drammatica incombe fin dall’incipit, la caratterizzazione dei personaggi e le scene, spettacolari, fanno il resto. In Shorta il continuo scambio di ruoli sorprende, perché questo giunge quando nessuno lo attende, quando ci si convince di essere in uno schema. È il bello del film danese. Gli schemi vengono fatti saltare. Sempre.

Da applausi Jacob Lohmann e Simon Sears

Mattatori di Shorta sono i due protagonisti: Jacob Lohmann è il più intenso, il poliziottto dietro il quale ruota tutta la vicenda, colui che è capace di cambiare la propria ottica esistenziale mentre Simon Sears con i suoi silenzi, le numerose contraddizioni del proprio personaggio rende intellegibile il travaglio interiore che lo tormenta. Ed è magistrale come gli autori abbiano costruito scene credibili, regalando agli spettatori il senso delle chiusure sociali, dove la demarcazione è sancita anche da quella architettonica. La Danimarca come un insieme di mondi differenti destinati a restare tali.

Condividi!