Gli Spiriti dell’Isola: la radice teatrale a volte smorza il ritmo del film di Martin McDonagh. Ma gli interpreti sono al top

Una delicata lentezza pregio e limite del film

The Banshees of Inisherin è il titolo originale de Gli Spiriti dell’Isola e non comprendiamo perché nella versione italiana non sia stato mantenuto. Sembra un particolare di piccola importanza ma le Banshees della mitologia irlandese sono una cosa seria: annunciano la iella peggiore che possa accadere a un individuo: la sua morte. Lo scrivo perché il film che ha permesso a Colin Farrell di aggiudicarsi la Coppa Volpi a Venezia 2022 e al suo regista il premio per la migliore sceneggiatura contiene al proprio interno molte sfumature in grado di spiegare alcune zone d’ombra che possono travolgere, in negativo, gli spettatori. Le radici de Gli Spiriti dell’Isola sono teatrali: l’opera avrebbe dovuto concludere la trilogia che McDonagh, uno dei massimi drammaturghi contemporanei, ha dedicato alle isole Aran. Quel progetto, mai portato in scena, ha dato vita al film. Ed è per questo che una delicata lentezza la fa da padrona, più che nelle prove precedenti dell’autore. Pregio o limite? Credo che entrambe le risposte siano valide.

Così ha inizio il male

Sfrutto il titolo dello splendido romanzo di Javier Marías per sintetizzare il nocciolo del discorso portato avanti da McDonagh: dissapori, contrasti, disagi che scivolano verso le estreme conseguenze nascono da piccoli episodi, da parole non dette o dette, dagli atteggiamenti, dalla fine dei confronti, dagli equivoci, dalle differenti visioni-ambizioni esistenziali. Inisherin-le scene sono state girate in due parti distinte delle Aran tra Inis Mòr e Keem Bay– è un’isola dell’anima, inesistente nel reale, metafora dell’Irlanda negli anni della guerra civile. Pádraic e Colm sono amici del cuore in procinto di guerreggiare per il non detto, il non compreso, per solitudine, cercata dall’uno, contrastata dall’altro. Entrambi attendono il loro Godot; per Colm l’illuminazione artistica, la fiamma per creare ciò che mai è riuscito a costruire e forse non sa nemmeno farlo; per Pádraic il mantenimento dello status quo, delle giornate sempre uguali, diviso tra la compagnia dell’amico e l’affetto della sorella.

Il senso della mancanza di vie di uscita

McDonagh li muove in questo contesto dall’apparenza idilliaca, dentro cui si annida, quasi sia un ossimoro naturale, la claustrofobia degli spazi aperti, il senso di soffocamento della mancanza di vie di uscita. Isola di gabbia mentale e di lotta dove le Banshees, ovvero le fate che annunciano la morte, sono sempre in giro per predire un malaugurio ineluttabile, da cui non si può fuggire. È una sceneggiatura ad incastri che rasenta la perfezione. C’è tutta la letteratura irlandese alle spalle di McDonagh, ci sono i no sense apparenti di Beckett che messi assieme diventano fatti perché anche il regista procede per sottrazione della parola.Il verbo, forma di inganno esistenziale. Come ha sempre fatto, come sa magnificamente fare. Così il ritmo è meno cinematografico delle opere precedenti, nonostante il suo capolavoro Tre Manifesti a Ebbing-Missourihttps://guidoschittone.com/tre-manifesti-a-ebbing-talmente-bello-da-sembrare-un-libro/-poggiasse su un necessario andamento lento. Per me è un pregio, però comprendo chi avrebbe voluto all’interno dello script illuminazioni meno raffinate e più materiali. È sempre una questione di gusti e di sensibilità individuale.

Se il paesaggio non è una quinta

Gli Spiriti dell’Isola è opera che sfrutta il paesaggio. Da semplice quinta il luogo immaginario ricostruito da McDonagh si trasforma in protagonista. È mondo che imprigiona le anime. La guerra civile è evocata dai combattimenti e dalle esplosioni che provengono dalla terra ferma. Dicono nel film che era meglio quando gli irlandesi erano uniti contro gli inglesi ma la maldicenza, il pettegolezzo, le sottili cattiverie da bottegaie, la prepotenza di chi ha i gradi creano fratture, invidie, ipocrisie laddove tutto sembra magico e tranquillo. È evidente il contrasto tra la bellezza selvaggia, iconografia di un’Irlanda da cartolina, e la violenza pronta a esplodere determinata da questo vivere in un mondo all’apparenza a parte. Persino gli asini, i cani, i pony ne Gli Spiriti dell’Isola procedono in simbiosi con gli uomini. Come nel messicano Cieli del nord sopra il vuotohttps://guidoschittone.com/cieli-del-nord-sopra-il-vuotodal-messico-un-film-che-dispensa-fascino-pur-nelle-imperfezioni/-gli animali osservano, guardano, pagano con la loro vita l’inganno del cibo e la stessa artificiale armonia creata con l’uomo. Altre vittime dell’isola che non c’è.

Un cast di caratura superiore alla media

A quindici anni di distanza dal notevole In Brugeshttps://guidoschittone.com/gli-assassini-hanno-principi/Colin Farell e Brendan Gleeson tornano a recitare assieme per McDonagh. Del regista conoscono tempi e motivazioni, dell’Irlanda e delle sue leggende tutto. Sono perfetti nei loro silenzi, nelle parole accennate, negli sguardi e nel precipitare in un destino segnato come accadeva in quel film che portò alla notorietà il proprio autore. Ma ne Gli Spiriti dell’Isola ci sono anche gli altri. Kerry Condon, che per McDonagh ha recitato molte volte a teatro, è l’unico personaggio capace di affrancarsi, di fuggire, di procedere verso la libertà, e Barry Keoghan conferma di possedere un enorme talento: il suo Dominik è l’asse di equilibrio. In ogni film McDonagh sfrutta il fool come collante e terzo occhio e anche in questo caso la scelta è azzeccata. In un anno tutto sommato modesto sul fronte delle proposte cinematografiche, Gli Spiriti dell’Isola si eleva rispetto alla media. Non è un capolavoro. Senza i suoi straordinari attori avrebbe avuto minor impatto. Ma è interessante la sua scrittura, imperdibile per chi alla passione per il cinema è giunto dopo avere amato il teatro e i suoi autori.

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