Una Relazione Passeggera: vivace, delizioso e profondo. Un gioiello da non perdere

Mouret come un antropologo per parlare di lei e di lui

Non c’è nulla da obiettare: solo i francesi riescono a creare film incentrati sull’amore e dintorni con stile, grazia, delicatezza e profondità. Una Relazione Passeggera di Emmanuel Mouret non sfugge alla regola. È una delle opere migliori della stagione, un gioiello che brilla tra un sacco di altre cose sopravvalutate, dove la leggerezza va a braccetto con la riflessione. Senza nessuna volgarità, senza luoghi comuni, senza appesantimenti. Mouret pone al centro della vicenda un uomo e una donna, un marito e una divorziata seguendoli dal loro secondo incontro ai tempi dei social fino all’evoluzione del rapporto. È un mezzo per parlare d’amore, e fin qui nulla di nuovo, e soprattutto per dipingere il differente modo di confrontarsi con la nascita del sentimento. Dal punto di vista di lei e da quello di lui. Per far emergere le diverse sensibilità , in barba alle convenzioni dei tutti uguali. Ci riesce alla perfezione, facendo di Una Relazione Passeggera una vera e propria indagine, sorretto da un duo di attori, Sandrine Kiberlain e Vincent Macaigne, strepitoso e da una sceneggiatura pimpante, divertente.

I continui cambi di ottica danno ritmo e brillantezza

Poteva essere una versione riveduta e corretta del pregevole Una Relazione privata (nell’originale Une Liaison Pornographique) che Frédéric Fontaine diresse nel 1999. Là un uomo e una donna si incontravano nelle grigie stanze di un albergo ad ore e nel momento in cui nasceva il sentimento si lasciavano. Era una storia bellissima, struggente. Mouret, che cinefilo è, deve avere visto quel film perchè lo spunto di Una relazione Passeggera è simile. Solo che l’amore non ne rappresenta il nucleo centrale. Se infatti eliminiamo per un momento il sentimento e la sua costruzione, nel film che è stato presentato a Cannes 2022 a risaltare sono appunto i differenti approcci alla visione esistenziale tra uomo e donna. Il primo appare indeciso, frenato, quasi imprigionato dalle convenzioni, contradditorio nei suoi comportamenti. Cerca una libertà leggera ma è continuamente gravato da un finto senso di colpa che viene sempre smentito dai fatti. La seconda fa del momento la sua arma ed anche questa si rivela una finzione. Così Mouret penetra in un gioco delle parti fatto di sguardi, battute, avvenimenti. Un continuo botta-risposta mai superficiale, con lo scandire del tempo che esalta ed erode ma riesce a fissare per sempre la relazione. È un crescendo per tutta la durata di un film che non ha mai pause, che non annoia. Che fa riflettere.

In cerca di una bulimia esistenziale

La bulimia esistenziale unisce i personaggi di Simon e Charlotte. Entrambi corrono a ritroso per vivere la vertigine della clandestinità; provano l’apnea di una fine inevitabile, di ogni incontro come se fosse l’ultimo. Sono gravati dalla malinconia dell’attimo, in cui anche la natura diventa parte integrante del film. Infatti i luoghi fisici che Mouret mostra, librerie, stanze di hotel, boschi isolati, musei, si trasformano in un plus scenografico non un semplice spazio da riempire. Il regista li usa a proprio piacimento in armonia con il tempo vissuto dai suoi due amanti. Li spoglia fino a farli diventare spettrali, vuoti, in un magnifico prefinale ingannevole. Perché questa è una storia dove sembra esserci solo il mondo di Simon e Charlotte, un po’ come in Parigi di Paolo Conte, in cui cosa ci si può dire << in fondo a questa luce?>>. Sarà solo il caso a metterli di fronte a un’altra realtà.

Due attori che sembrano amanti reali

Sandrine Kiberlain e Vincent Macaigne offrono una recitazione superiore alla media. Sono talmente nella parte di Charlotte e Simon da apparire per davvero amanti l’una dell’altro. Chi ha visto il film può comprendere le sfumature di entrambi mentre parlano o si ascoltano, mentre si guardano. Il loro discorrere è un susseguirsi di battute mai banali, dove il divertimento non è sganciato dalla riflessione. Mouret segue i suoi eroi senza tempo in continuazione: piazza l’obiettivo di fronte ai loro volti, non si vergogna nel mostrarne i contorni, le rughe, i difetti e facendo questo li fa sembrare bellissimi, autentici, reali, puri nelle reciproche insicurezze. L’indagine da antropologo la applica anche nell’uso della fotografia, nel posizionamento della camera, come in una scena importante in cui mostra da un lato Simon che aiuta in un trasloco il personaggio-fondamentale per la trama- di Louise e dall’altro, nella quinta, Charlotte che in cucina osserva ciò che sta accadendo e poi lentamente raggiunge gli altri due. C’è tutta un’espressività rara in Una relazione Passeggera, una quasi normalità che alla fine ti sembra di essere dentro la vita e non spettatore di scene che provengono da uno schermo. Perché questa è un’altra magia di un film che può essere definito solo in un modo:delizioso.

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