Kingmaker: la menzogna della politica attraverso l’uomo ombra

Dalla Corea del Sud un altro film politico sulla propria storia recente

IL KINGMAKER è qualcosa in più di uno spin doctor. È colui che in politica traccia la linea di azione, i mezzi attraverso cui giungere all’obiettivo. È anche il titolo di un ottimo film del sucoreano Byun Sung-Hyun presentato al Feff24, l’edizione annuale del Far East Film Festival di Udine, visibile sulla piattaforma a pagamento gestita dal portale mymovies. La presenza di questa opera all’interno della rassegna friulana non è casuale: prosegue un percorso concettuale che da sempre offre rilevanza alla storia e alla relativa analisi di essa di una nazione che pur essendo tra le più evolute al mondo ama interrogarsi sul proprio recente passato e le tante contraddizioni che lo hanno determinato. Per chi ha amato The President’s Last Banghttps://guidoschittone.com/the-presidents-last-bang/– o il più recente The Man Standing Next di cui ho trattato con brevità qui-https://guidoschittone.com/feff22-in-breve/Kingmaker è imperdibile perché completa appunto il cammino coerente di questo festival e della cinematografia sudcoreana meno conosciuta.

Una metafora semplice e potente nell’incipit per spiegare il senso dell’opera

È UNA METAFORA iniziale a spiegare il senso del film: nel 1961 un contadino si reca da un farmacista per chiedere un consiglio su come gestire il furto di polli da parte di un individuo imparentato con il capo del villaggio. La risposta è ornare con un fiocco rosso le zampe di ogni pollo e penetrare nella notte nella casa del vicino lasciandone uno. In questo modo la comunità dovrà prendere atto che si è in presenza di un ladro. Kingmaker prende le mosse da questa scena e il farmacista non è niente altro che il protagonista dell’opera. Un uomo ambizioso che come molti è nato nella Corea del Nord ma è cresciuto in quella del Sud e che è ossessionato dall’incapacità del partito democratico di scaldare gli animi della gente e di affrancarsi dalla logica comunista che richiama tragicamente il regime del Nord. È il motivo di facciata per cui entrerà di prepotenza nella vita e nella scalata al potere del candidato Kim Woon-bum nell’arco di una vicenda che da quegli anni arriverà al 1998.

<< Più forte brilla una luce, più scura è la sua ombra. Ma mi piace vederla nella luce >>

IN QUESTA FRASE si coglie la profonda riflessione che il regista fa sul personaggio dell’uomo che si cela dietro il candidato democratico. Gli avversari lo chiamano ombra, lui aspira invece a un ruolo pubblico, appunto essere ombra nella luce del potere. La regia di Byun Sung-Hyun è molto abile nel penetrare nella psiche del proprio protagonista, nel dramma individuale di non potere essere altro che un burattinaio destinato a restare burattino, uomo dicotomico per eccellenza, un vincitore destinato a perdere e a votarsi a chiunque che si scontra a più riprese con gli ideali del candidato. La politica per il personaggio del farmacista Seo si basa sul mezzo per raggiungere il fine. Per il politico Kim invece non può esistere lotta senza una causa ideale. Sono mondi che si confrontano e scontrano. Ribaltare anche la realtà delle cose è utile per vincere.Secondo Seo, tutto può essere giustificato, persino gli attentati. << Non importa chi è stato ma quello che sembra >> tanto << Chi è il popolo? Loro chiedono, ascoltano, fanno solo quello che gli viene detto di fare >>.

Una riflessione attuale lontana dalla facile schematizzazione

KINGMAKER è un film molto profondo, permeato dal senso della sconfitta e della disillusione. Ogni tesi di Seo è confutata da Kim. Non c’è mai superficialità ed è merito non da poco perché cercando di sviscerare gli aspetti collettivi e individuali Byun Sung-Hyun non cade mai nella schematizzazione. Come in molte altre opere sudcoreane-un grazie di esistere a questa cinematografia- è l’universalità del discorso complessivo a farne opera importante a cui forse manca quel pizzico di follia visionaria, dissacrante propria dell’indimenticabile The President’s Last Bang che riusciva ad immettere nel racconto del complotto presidenziale elementi grotteschi e ironici. In Kingmaker invece è il rigore pragmatico a farla da padrone nel descrivere una lunga stagione di storia nazionale che altro non è che una bellissima lezione universale sulla menzogna della politica, sull’inganno e sul tradimento. Formidabile e molto credibile tutto il cast. L’auspicio è che l’avventura di Kingmaker non si fermi ai festival ma possa giungere nelle sale cinematografiche perché merita una vasta platea.

Condividi!