Cieli del Nord sopra il Vuoto:dal Messico un film che dispensa fascino pur nelle imperfezioni

Un simil western diretto con mano ferma

El Norte Sobre El Vacio è il film messicano diretto da Alejandra Marquez Abella presentato alla Berlinale di quest’anno e inserito in versione originale nella piattaforma streaming di Prime nell’attesa(o speranza) di una regolare distribuzione nelle sale. Sosteniamo questo perché siamo convinti che il prodotto abbia una propria valenza, ben maggiore per esempio di tante altre opere che invece il loro posto al cinema tradizionale l’hanno trovato. Siamo ai confini del Texas, nel Nuevo Leon ma nella zona lontana dall’industrializzata Monterrey. È un regno del nulla, di sterminate terre aride, dove si fatica a trovare acqua e misteriose pandemie costringono gli allevatori a bruciare il bestiame. In questo luogo fisico la regista inserisce un anziano proprietario di ranch. Un uomo oppresso dal passato, che finge di essere un gran cacciatore, che è malato di gotta, circondato da un declino che rifiuta di vedere. Non gli restano che la famiglia, della quale non riesce ad avere più il controllo, il bastone di comando sulla manovalanza e la terra. Già perché questo è soprattutto un film sulla fragilità dell’idea di possesso, sullo scontro tra individuo e natura, sull’attaccamento alle radici. Il tutto girato con mano molto ferma da Marquez Abella che mette in piedi un western contemporaneo dove la violenza è psicologica e quasi mai viene mostrata.

Uno script che avrebbe potuto essere scritto da Arriaga

El Norte Sobre El Vacio è tratto dalla storia vera, avvenuta qualche anno fa nella stessa regione di un allevatore che cercò di resistere all’assedio del proprio ranch da parte di una delle tante bande criminali che infestano il Messico. Marquez Abella però ne prende soltanto l’ispirazione: nella realtà scrive un film a quattro mani con Gabriel Nuncio-suo un prezioso docufilm sulla genesi di Roma di Alfonso Cuaròn- in pieno stile Guillermo Arriaga. Si avvertono in modo deciso le influenze del grande scrittore messicano soprattutto nella descrizione del rapporto tra uomo e animale, non più oggetto ma protagonista, e nella violenza multiforme che non mostra mai un solo volto ma appartiene a chiunque. Sia esso il vendicatore o il vendicato. Così la tensione cresce. Marquez Abela scandisce con lentezza ma mai pesantezza l’avvicinarsi di una probabile fine. Si sofferma sul panorama che non è più quinta, offre claustrofobia mostrando spazi aperti e orizzonti privi di confini. A volte sembra quasi di essere in un già visto, di vivere assonanze con altro cinema messicano, quello di Carlos Reygadas nello splendido e poco compreso Nuestro Tiempo per esempio, o addirittura vivere potenziali improbabili parallelismi con Caini del rumeno Bogdan Miricã. C’è grande gusto estetico mai fine a sé stesso che spesso pesa molto più delle parole recitate.

E Don Reynaldo imbracciò finalmente il fucile

IL PERSONAGGIO di Don Reynaldo, interpretato da uno strepitoso Gerardo Trejoluna, è ancorato ai ricordi di altri. La sua è memoria di famiglia. Il suo è un passato non vissuto, se non per un misterioso episodio di cui possiamo solo immaginare la conclusione, che lo porta a raccontare sempre la stessa storia, la leggenda di come venne scelta quella terra e di come nacque il ranch. Anche come cacciatore è un nessuno. A sparare per lui sono i braccianti che poi dovranno mantenere il segreto. La sua missione è custodire la memoria, quindi la terra, opporsi in tutti i modi a dover rinunciare a essa. Certo le cose cambieranno, lo status quo verrà infranto ma sarà nel momento in cui Don Reynaldo prenderà coscienza della devoluzione di tutto ciò che lo circonda. Gli resterà solo un’ultima scelta. Imbracciare il fucile, resistere, lottare cocciutamente per diventare esso stesso terra. Morire per un’idea.

Gli animali osservano lotte di classe, tradimenti, pentimenti

IL FILM è interessante. Marquez Abella ha il pregio di dare un’anima anche al contorno. Non c’è stereotipo. Oltre che con Don Reynaldo la regista scandaglia i risvolti psicologici di una famiglia che, come il ranch, sembra essere in declino, non ascoltare più il genitore, essersi incamminata in altri percorsi lasciando quell’uomo apparentemente incapace di amore da solo. Ma è la relazione tra Don Reynaldo e i braccianti a incuriosire ancora di più: l’intreccio psicologico tra le due parti è fatto di sottomissione, disprezzo, affetto, riconoscenza, tradimenti, pentimenti. Una sindrome di Stoccolma o meglio una relazione neccessaria, la condivisione di un ruolo differente nell’ambito del medesimo contesto. E ci sono gli animali che osservano: non il minaccioso puma della leggenda di famiglia, ma innocue rane, vacche, cervi. Convitati di pietra della riflessione di Marquez Abella che ad ogni scena inserisce l’ottica di chi è natura e quindi terra essa stessa.

Un finale troppo forzato è il limite del film

IL LIMITE di Cieli del Nord Sopra il Vuoto è nel finale. Una forzatura di stampo ecologista di cui non si sentiva il bisogno perché era stato tutto mostrato, la presenza ossessiva degli animali appunto, e recitato. Era già bastato per comprendere il significato intrinseco del film ciò che la moglie di Don Reynaldo gli sussurrava in una scena importante :<< Questa terra stava qui ben prima che tuo padre uccidesse il puma e piantasse l’arancio. Era già qui Rey. E sarà qui anche dopo >>. Ma a parte questo, se si sorvola su alcuni errori in sede di montaggio(Don Rey poco dopo quelle parole si addormenta sulla sinistra del letto e al risveglio lo ritroviamo alla destra) e su alcune piccole incongruenze, El Norte Sobre el Vacio è un’opera che affascina, lontano dalla banalità, di alto livello figurativo, recitata benissimo. Un gioiellino da scovare nel mare magnum delle offerte di Prime.

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