Millennium Mambo e 2046: il cinema che punta sul fascino
LE MAGNIFICHE ossessioni dipendono sempre dal fascino che l’oggetto del desiderio riesce a emanare. Sono quindi individuali, poco oggettive, proprio perché vanno a colpire non l’elemento razionale ma quello percettivo, ciò che si annida nel tuo intimo e che spontaneamente prende il sopravvento su tutto il resto. Millennium Mambo non è il miglior film di Hou Hsiao-hsien, così come 2046 di Wong Kar-wai è inferiore a in The Mood For Love, di cui rappresenta l’ipotetica continuazione –In The Mood For Love è ancora tra noi. Irripetibile-. Eppure l’uno e l’altro proseguono la loro pluriventennale opera di coinvolgimento sensoriale e ti convincono che facciano parte di te, della tua vita. Compagni di viaggio come i film di Truffaut-e non è un caso- e di tanti altri che hanno creato una passione. Per questo li ho voluti rivedere-2046 dovrebbe essere stata la quindicesima volta- l’uno a distanza di una notte dall’altro. E il fascino della prima volta è rimasto inalterato.
Hou Hsiao-Hsien danza nel vuoto del nuovo secolo
Millennium Mambo giunse in modo prepotente sugli schermi nel 2001. Era l’inizio del nuovo secolo anche per Taipei di cui Hou Hsiao-hsien è il massimo cantore cinematografico. Un film dove lo spazio temporale si confonde, e in questo ci sono assonanze con 2046. Siamo nel 2001 ma l’io narrante è nel 2011. C’è l’ossessione della dipendenza psicologica di una ragazza-la splendida Shu-Qi– per il proprio compagno. È una storia di fughe, ritorni, rassegnazione e ribellione. Quasi un racconto ininterrotto di formazione e di progressiva autodistruzione all’interno di un buco nero sociale e morale. Taipei del XXI secolo è uno spazio chiuso in cui la gioventù è imprigionata in discoteche e in minuscoli appartamenti. Nessuno si pone domande sul futuro, nessuno sembra possedere alcun desiderio. Si vive di vacuità. Il Mambo di una generazione è quello di ripetere ossessivamente gli stessi comportamenti. È una danza scandita dalla musica tekno, l’alcool, la droga, l’arrangiarsi, il rubare, il vendersi. In questo vuoto morale non è un caso che la condizione dei protagonisti sia quello di stranieri, non nativi. È un dato marginale ma interessante perchè è come se la sceneggiatura fornisca fin da subito un’indicazione di non appartenenza, il che è abbastanza ricorrente nella cinematografia di Hou Hsiao-hsien. Nella sua seconda opera, Cheerful Wind del 1981-una breve nota si trova nella sezionehttps://guidoschittone.com/feff22-in-breve/– c’è una ragazza simile al personaggio di Vichy in Millennium Mambo– bella e intensa Shu-Qi-, insoddisfatta della relazione con il partner, là un regista in erba, qui un disc jokey senza…discoteca. Entrambi vivono di egocentrismo assoluto; in Cheerful Wind il regista è distaccato, lontano dai sentimenti. In Millennium Mambo il deejay è possessivo, accecato dalla gelosia, stretto nella morsa del padre padrone. La salvezza può avvenire solo da una fuga: in Europa nel primo caso, in Giappone, a Yubari, dove guarda caso si tiene il festival del cinema, nel secondo. Ma Millennium Mambo non è solo questo. È un incipit destinato a entrare nella storia del cinema, un montaggio in cui i salti temporali diventano armonici, legando la splendida fotografia di Mark Ping Bing Lee-altro elemento che collega Hou Hsiao-hsien a Wong Kar-wai-alla musica ossessiva di Giong Lim. E si viene travolti da questa centrifuga di emozioni senza soluzione di continuità. Sperando che non ci sia mai una fine.
2046: siamo e resteremo ciò che siamo stati
IN 2046 Wong Kar-wai riporta il proprio protagonista, il signor Chow–Tony Leung-a Hong-Kong dopo la sua fuga a Singapore. Seguito di In The Mood For Love–In The Mood For Love è ancora tra noi. Irripetibile– risente rispetto a esso di un eccesso di formalismo. Tutto è troppo bello, troppo perfetto, troppo ricercato il che, col tempo-venne girato nel 2004-gli fa perdere la immutabile spontaneità del primo. Eppure anche 2046 è un saggio di come l’autore abbia cambiato i parametri del melò, mantenendone la struttura ma mettendola al passo del contemporaneo. Wong Kar-wai gioca con i piani temporali, creando un’opera che trova il proprio apice-e anche il limite- nell’essere allo stesso modo sia metacinematografica sia metaletteraria. L’immenso regista riporta in auge le atmosfere di Douglas Sirk usando anche chiare ispirazioni di casa Francois Truffaut: le caviglie impegnate in passi di danza, le mani sottili che non vogliono afferrare un pacco regalo, ogni minimo particolare di lui e delle numerose lei a trasformarsi nel significante della scena. Il signor Chow non è molto dissimile dal personaggio di Bertrand–Charles Denner– ne L’Uomo che Amava le Donne. Entrambi scrivono un romanzo, Chow addirittura un romanzo nel romanzo, 2047 in 2046, entrambi inseguono le avventure sentimentali. Chow lo fa per esorcizzare l’amore perduto, non riuscendoci perché non solo i ricordi sono sempre bagnati di lacrime ma rappresentano noi stessi. Chow vive in un presente devastato dal passato. Ed è una continua ripetizione di gesti, di situazioni. C’è un film nel film, proiettato nel futuro: è il 2046 che prende vita dai fogli del romanziere per entrare prepotentemente a intervallare e a portare in un’altra dimensione temporale lo spettatore. Ma la sostanza anche nel futuro resta la stessa: lo struggimento per ciò che abbiamo perduto. In questo contesto 2046 diventa la conferma di ciò che accadde in In The Mood for Love mentre il tempo scorre in avanti, le lancette di un orologio immaginario porteranno in quella data Hong Kong a passare definitivamente ai cinesi. Film di una raffinatezza assoluta-forse il più raffinato che abbia mai visto e mi perdonino i fan di Visconti- ha anch’esso nella fotografia di Christophe Doyle-ogni immagine ne contiene un’altra- e nel montaggio di William Chang decisi punti di forza. E poi tutto il cast con Tony Leung incontrastata stella del cinema orientale perfetto nei panni di Chow, personaggio che conosceva nei minimi dettagli, e tra le numerose dive o future dive la bellissima Zhang Ziyi, viva, vibrante, innamorata. Troppo per essere accettata da chi l’amore lo ha perduto e non è capace di chiudere con il passato.