> nella fiera del banale

welcome.jpgLe cose carine non mi piacciono. Sono una via di mezzo. Né belle, né brutte, appunto carine. Le dimentico, non solcano alcun terreno intimo, non portano a domande, non fanno nemmeno arrabbiare. Sono indolori, insapori. Alla fine non dicono nulla, perché non usano il mio linguaggio, perché accontentano tutti senza in realtà coinvolgere nessuno. Il caso cinematografico del periodo natalizio è stato un film francese pluripremiato a destra e a manca, strombazzato, idolatrato persino da quella critica che a volte appare fin troppo severa di fronte a film ben più importanti.<< Welcome >> di Philippe Lioret è l’ennesima pellicola sull’emigrazione, sulla crudeltà della condizione umana, sull’intransigenza, sulla stupidità cieca delle misure di polizia per arginare il fenomeno della clandestinità. E’anche un film che parla di sogni spezzati ma da agguantare, di perdite, di rinascita se si ha il coraggio di specchiarsi e confrontarsi con coloro i quali facciamo finta di non vedere o che scansiamo. Lioret non ci toglie nulla: c’è l’istruttore di nuoto prossimo al divorzio dalla moglie intellettuale e volontaria nel servire pasti caldi ai clandestini. Ci sono questi ultimi che pur di emigrare dalla Francia all’Inghilterra si prestano ai ricatti delle organizzazioni, a rischiare la morte. Ci sono quelli che ce l’hanno fatta e se ne stanno a sbarcare il lunario a Londra organizzando i matrimoni delle figlie con i cugini per migliorare la propria situazione sociale. Ci sono i poliziotti dell’emigrazione. Quelli che fanno ciò che devono ai posti di frontiera, scovando i clandestini dentro i cassoni dei camion, i commissari di polizia che comunque devono mettere a segno qualche colpo, qualche successo per far parlare e possibilmente ottenere una promozione, ci sono gli inquilini spioni e chi, nella disperata speranza del clandestino innamorato, rivede un po’sè stesso, ritrova la voglia di lottare, di comprendere i propri fallimenti e di tornare ad avere il coraggio di imporre una giustizia umana, etica che guarda caso va contro alla stupidità di quella pubblica e normativa. Alla fine, perché si tratta di uno dei <<J’accuse >> più ruffiani e buonisti degli ultimi anni – noi amiamo i finali cupi, quelli che crediamo siano più in sintonia con la vita, almeno quella che viviamo noi e della quale abbiamo esperienza- per non scontentare nessuno il regista fa morire il clandestino e ritrovare l’amore al suo istruttore di nuoto che probabilmente dovrà subire un’ennesima denuncia per non essersi presentato a firmare per la propria libertà vigilata, andandosene persino a Londra nonostante il divieto d’espatrio. Così gli spettatori sono belle e serviti: piangono a comando ed escono dalla sala più buoni. D’altronde è il film che ha causato lunghe code per Natale…….Questa è la trama di << Welcome >>, almeno secondo la mia opinabile ottica individuale. Poi certo tutto funziona che è una meraviglia: sono splendide le immagini cupe e scure delle condizioni nelle quali versano i clandestini che fanno lunghe file a Calais in cerca del viaggio della speranza. E’bella, pur nella sua dimensione di donna <<alternativa>> con il sederino coperto (da jeans Diesel e dalla propria inazione sociale a parte i pasti caldi) Audrey Dana; è bravissimo, il migliore del cast, Firat Ayverdi, il ragazzino curdo in fuga dall’Irak che sogna un ingaggio nel Manchester United e soprattutto di ricongiungersi al proprio amore, è decoroso, pur nella sua monoespressività Vincent Lindon e tutto, ma proprio tutto, fila via con professionalità, pulizia, e una regia controllata, fin troppo.L’anno passato di quest’epoca c’era stato un altro film che girava attorno agli stessi temi: << L’ospite inatteso >> dell’americano Thomas McCarthy – scuola Eastwood – dove a essere al centro del mirino c’erano le assurde regole americane per ottenere la cittadinanza. Chi ha incensato << Welcome >> dovrebbe andare a rivedersi la differente statura di quella pellicola e farne un confronto onesto, diretto con questa. O persino rivedere sull’argomento <<noi e gli altri>> il capolavoro di Giorgio Diritti << Il vento fa il suo giro >> o l’interessante << Frozen River >> di Courtney Hunt. Capisco che i distributori italiani abbiano molti problemi e capisco anche che la critica di fronte alla mediocrità dell’offerta natalizia non abbia saputo fare altro che incensare un film che non si schioda dal proprio decoro, senza mai sussultare, innalzarsi, offrirci qualcosa di diverso dallo scontato. O forse è solo colpa mia che dal cinema pretendo troppo e al cinema attribuisco troppa importanza. Mah.

Condividi!