Mirzapur, la serie Prime in stile b movies Anni’70

Ideale per il binge watching

In India, non solo nel versante Bollywood, conoscono come pochi i segreti delle produzioni cinematografiche e seriali. Non è un caso che l’industria indiana sia da almeno novantanni una dei maggiori produttori mondiali di contenuti. Come citava in modo arguto Paulo Emilio Salles Gomes nel suo saggio Cinema: una traiettoria nel sottosviluppo(pubblicato a più riprese nei testi e documenti dell’11.sima mostra del nuovo cinema di Pesaro nel 1975 e apparso nel libro Brasile, Cinema Novo e dopo edito da Marsilio nel 1981) << La fonte da cui derivano i film indiani del nostro secolo -ndr il XX-è stata costruita verso la fine del secolo scorso, dall’industria grafica inglese e dalla relativa letteratura, attraverso la diffusione di una vasta tradizione plastica, di spettacolo e letteraria>>. E più avanti l’importante cinefilo brasiliano sottolineava che<< i cineasti indiani che dopo l’indipendenza hanno cercato di reagire contro la tradizione coagulata dalla manipolazione dell’oppressore-ndr i colonialisti britannici-si rivolgono necessariamente verso temi e forme ispirate al cinema straniero>>. Sono concetti oggi ampiamente superati ma che ritornano in modo prepotente in questa serie televisiva che Amazon Prime propone in Italia in versione originale con sottotitoli. Diciamo questo perché il fascino di Mirzapur è di catapultare lo spettatore in un crudo B Movie degli Anni’70 o 80 lungo 19 puntate che compongono le prime due stagioni e di lasciarlo inchiodato alla poltrona con un senso ossessivo-compulsivo di binge watching.

Da Shakespeare a Sentieri

Finché Mirzapur non giunge alla propria conclusione- apertissima con giudizio, in attesa della terza stagione che andrà in onda nel 2022- ci si abitua persino all’uso eccessivo di violenza in alcune scene che fanno passare il modello Gomorra o Suburra come roba per educande di un collegio religioso. Da quest’ottica, pur con parametri tecnici e di sceneggiatura che si riferiscono a un mondo passato e già vissuto, Mirzapur non dovrebbe dispiacere a Quentin Tarantino e ai suoi epigoni tanti sono i rimandi colti e no a scene celebri che vanno da Il Padrino a Scarface fino agli spaghetti western all’italiana. Mirzapur è quindi una sorta di fritto misto in salsa seriale? Sì ma non mi vergogno a sostenere che è ben preparato, croccante, talmente digeribile da non poterne più fare a meno a tavola. Perché il segreto di questa produzione indiana, scovata per puro caso e con un negativo preconcetto culturale nella ricca bacheca di Amazon Prime, è di unire il sacro al profano. La storia di Mirzapur avrebbe fatto la felicità di William Shakespeare ma anche degli sceneggiatori di Sentieri o Dynasty.

Tra genitori e figli e ansia di vendetta

Siamo ai giorni nostri a Mirzapur, città dell’Uttar Pradesh, soggiogata, gestita, imprigionata dal clan Tripathi, i cui affari vanno dalla costruzione di armi, alcune difettose, spaccio di oppiacei, corruzione e via dicendo. Ma in città risiede anche la famiglia dell’avvocato idealista Pandit che casualmente troverà sulla propria strada quella dei Tripathi. E non sarà un bel vivere per entrambe e per tutti coloro che saranno coinvolti in una vicenda che a poco a poco si allargherà fino ad arrivare a un vero e proprio conflitto. Abbiamo citato Shakespeare, sperando non si rivolti, perché in Mirzapur lo schema è tipico delle sue opere. Ci sono dinastie, potenti che accusano il peso degli anni e devono confrontarsi con figli imprigionati in complessi di inferiorità e ben più stupidamente crudeli dei genitori. Figli che vogliono il trono del padre. Padri devastasti dai sensi di colpa, da improvvisa impotentia coeundi, matrigne che tradiscono, anziani spietati pur restando quasi sempre in silenzio. C’è la vendetta delle vittime, per cui la stessa violenza che non appartiene al loro modus vivendi, diventa l’unico mezzo consapevole per cercare una giustizia che sa sempre di sommario. L’ Uttar Pradesh in Mirzapur è un mondo corrotto, senza etica, dove la politica è in combutta con i criminali, in cui la polizia a suon di mazzette chiude gli occhi, dove chiunque ricerca solo il potere, la sopraffazione, il denaro. Ma c’è anche il lato romantico della vicenda: impossibili amori da soap opera, sensi di perdita, come se gli sceneggiatori per rendere più simpatici i propri eroi neri cerchino in continuazione di entrare nella sfera privata, mostrando la loro parte umana e più sincera.

Una sceneggiatura molto bilanciata

In questo modo non esiste mai il rischio di perdere l’orientamento mano a mano che la storia procede. Karan Anshuman, ideatore della serie e regista di alcuni episodi, dimostra di sapere ben bilanciare tutti i vari aspetti. Nella marea di personaggi di Mirzapur non si corre mai il rischio di perderne alcuno. Tutti ritornano a cadenza regolare, con il merito di non appartenere mai a un genere macchiettistico. Lo sforzo in sede di scrittura è quello di approfondirne gli aspetti psicologici, le contraddizioni pur rispettando i limiti della serialità classica che altro non è che una forma contemporanea degli antichi romanzi d’appendice. Il tutto è supportato da un cast capace di evolversi seguendo il ritmo della trama.

Il cast si evolve con la trama

Non bisogna quindi farsi ingannare dallo schema proposto nella prima puntata della stagione inaugurale dove, penso per esigenze di copione e di comprensibilità, l’introspezione dei personaggi lascia il tempo che trova. Lo dimostra la buona performance di Ali Fazai, l’attore che impersona Guddu Pandit, che se sulle prime ci appare come l’utile idiota del film ne diventa poco dopo l’asse portante assieme a Divyendu Sharma, l’ambizioso Munna Tripathi, a Pankaj Tripathi, pure omonimia con il personaggio di Kaleen Tripathi che interpreta, e di Shweta Tripathi Sharma, nel ruolo di Golu Gupta. Certo Mirzapur non è quel capolavoro, che continuo a consigliare, passato sotto silenzio di Too Old to Die Young e non è nemmeno Gomorra o Suburra ma è un buon punto di partenza per capire che la buona serialità televisiva non è solo quella occidentale. A patto che si accetti qualche violenza di troppo.

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