L’incipit capolavoro del vero >

nemico-pubblico.jpgL’offerta di film al limite della sufficienza qualitativa di queste due ultime settimane permette di procedere a ritroso in compagnia di alcuni grandi classici. Un modo per rinfrescare la memoria e per scuotere la testa di fronte a prodotti attuali che spesso fanno cascare le braccia. Passeggiando tra Welles e Peckinpah è spuntato all’improvviso William A. Wellman, l’autore di un film che da bimbo avevo molto amato e poi rivisto un paio di volte: <<Nemico pubblico>> (1931) con James Cagney primattore, Jean Harlow, Beryl Mercer, Donald Cook, Edward Woods e altri ancora. Il film è una delle pietre miliari del genere gangster story, perché rompendo le tradizioni segue l’ascesa e la decadenza di un piccolo teppista fino alla morte finale in una delle scene << madri >> della storia cinematografica. Non ne ricordavo, però, l’incipit. Ne avevo vaga memoria, confusa.Siamo nel 1909 alla vigilia del proibizionismo. Cosa fa Wellman? Subito dopo i titoli di testa riprende la mano di un barista che muove le leve del serbatoio di birra. Voci confuse fuori campo, gli avventori, continuano a ordinare. <<Per favore una birra>>. <<Dammi una birra>>. <<Mi dai un’altra birra?>>. La cinepresa stacca sui boccali e sull’azione della mano che si sposta verso il bancone e ci porta a un primo piano scuro. Allargandosi, l’immagine ci mostra una serie di botti di legno accatastate su un calesse che inizia a muoversi: altra birra nel corso di un attraversamento pedonale. La cinepresa si sposta all’angolo opposto della strada: ora vediamo l’ingresso di un locale dove un gruppo di persone sosta con bicchieri in mano. All’improvviso, mentre il carretto che trasporta birra ha attraversato l’incrocio, sfila la banda dell’esercito della salvezza. Elencando le scene dell’incipit quindi si vede :a) mani che servono birra;b) botti di birra;c) un pub dove vendono birra; d) l’esercito della salvezza. In meno di un minuto e mezzo Wellman ci ha già condotto per mano nell’universo nel quale avverrà la storia. Lo spettatore ha già chiarissimo il concetto. Sa dove si trova, in quartieri degradati, sa che la birra o comunque gli alcolici faranno parte della storia, sa che il mondo che verrà mostrato riguarderà povera gente, sottoproletariato o piccoli borghesi senza lavoro. E quando vede la scena successiva si rende conto che quei bimbi proiettati sullo schermo diventeranno i protagonisti del film e che presumibilmente finiranno male. Wellman aggiunge quindi un quinto indizio a questo incipit, lo completa: e) due bambini scappano dopo un furto. Uno può chiedere vabbè non ha senso scrivere un post sull’incipit di un film, per di più del 1931. Invece no ha un grande senso. Quello della storia che si vuole raccontare. Wellman con pochi tocchi di semplicità assoluta, la scena delle mani potrebbe essere definita iperrealista, ci ha già spalancato la porta d’ingresso. Conosciamo il contesto sociale e le scene successive confermeranno la sensazione: vedremo un bimbo con i prodromi del delinquente addosso. Capiamo che è il ribelle di casa, perché il padre poliziotto lo richiama dopo aver scoperto che ha rubato un paio di pattini, lo accoglie in una stanza, prende una cintura in mano e lo batterà senza che lo spettatore veda la scena (non ricorda la fustigazione di uno dei protagonisti de Il Nastro Bianco di Michael Haneke?). Nel frattempo sappiamo che suo fratello, già da bimbo, è politicamente corretto, che la madre è debole, comprensiva, portata al perdono, un colpevole perdono. Ogni protagonista manterrà queste caratteristiche fino alla conclusione di Nemico Pubblico. Così inizia << Nemico Pubblico >>. Si era nel 1931, il cinema era ancora in bianco nero, da non molto era arrivato il sonoro ma la scrittura aveva una modernità all’avanguardia. Tocchi semplici e precisi, ficcanti attraverso i quali Wellman usa lo <<sguardo dal basso>>, per far partire il proprio romanzo per immagini. E’un film da rivedere: tra i gangster movies << Nemico Pubblico >> occupa un posto fondamentale. Assieme a pochi altri ha dipinto la figura del delinquente in modo tragico, con negatività che si respira inquadratura dopo inquadratura non disgiunta però da una sottile vena ironica, dovuta soprattutto all’espressività di Cagney, capace di sdrammatizzare, di allentare la tensione. E’ una sceneggiatura che procede per acuti e bassi, modulata, quasi mai è monocorde. E’ lineare nello svolgimento, mai nella sostanza, compressa nel tempo, con la drammatizzazione che raggiunge l’apice proprio pochi istanti prima della parola fine: il cadavere di Cagney, ricoperto di bende quasi fosse mummificato, viene lasciato di fronte a casa. Crollerà  come un sacco a terra appena spalancata  la porta mentre la madre prepara il letto e il fratello guarda nel vuoto con l’occhio disperato e desideroso di vendetta in una delle scene più visionarie e allo stesso tempo pulita e semplice che la storia ricordi. Questo era il cinema del 1931.

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