Si intitola <<Inventare il mondo >>, è edito da Garzanti e scritto da Ferruccio Parazzoli. E’il prossimo saggio che acquisterò ma che, attraverso una ottima recensione-colloquio con l’autore ad opera di Paolo Di Stefano apparsa lunedi 23 novembre sul Corriere della Sera, mi ha già incuriosito e so che non deluderà. Questione di istinto, brutale e violento, lo stesso che dovrei sempre seguire, lasciando da parte i battage pubblicitari sul libro di questo o di quello. Quando mi affido al naso, al fiuto non sbaglio mai. Posso immergermi in un libro non del tutto felice, in una produzione minore, ma in definitiva è come quando vado al cinema: scelgo sempre il meglio o comunque il peggio del meglio, di mia iniziativa e non per via del tam tam mediatico. Su questo non ammetto repliche, è una presunzione della quale mi assumo tutte le responsabilità del caso. Sfogato il narcisismo egocentrico passiamo dunque a questo articolo di presentazione del saggio di Parazzoli: ritorna, prepotente dopo qualche mese di astinenza, la diatriba sullo stato della qualità editoriale italiana, sulla differenza tra il lettore <<debole>> e il lettore << forte>> e spero sugli scrittori <<deboli>> e quelli <<forti>>. Il concetto espresso da Parazzoli a Di Stefano è molto chiaro: l’imposizione delle regole di marketing e commercializzazione sta snaturando il ruolo sia degli scrittori sia del loro prodotto finale, ovvero il libro. Scrive Parazzoli:<< Oggi si sente la forte necessità di avere una specie di concept da cui si sviluppa la trama, ma quando nel pensiero di chi scrive subentrano le richieste dell’editoria, si parte male. L’editoria oggi vuole dei bollini di marketing, un marchio riconoscibile da vendere: vuole la violenza o il sublime, l’aggancio alla realtà o il suo opposto, la trama forte eccetera. L’idea, piccola o immensa, da cui nasce un’opera letteraria scatta invece nel punto esatto in cui la linea orizzontale dell’esperienza interseca quella verticale dell’arte. Per Pavese è il ronzio della mosca dentro a un bicchiere…>>. Parole sante anche per il lettore, per uno come me che sta alla larga dai prodotti perfettini, pulitini, edulcorati che si fanno leggere ma dei quali, una volta chiuso il libro, non resta nulla e ti viene da dire <<sì grazioso ma non mi cambia la vita, non mi percuote, non mi inquieta, non mi fa nemmeno incazzare o esaltare. Non mi pone domande, non mi fa ritrovare domande>> perché da lettore sufficientemente <<forte>> so che nessun scrittore al mondo potrà darmi mai delle risposte ma porgermi le domande che io stesso mi pongo o rivolgermene altre che restavano celate tra le viscere.Stamane per radio ho ascoltato uno scrittore lanciare il proprio romanzo. Gli intervistatori parlavano di <<ucronia>>, termine entrato ormai di diritto tra quelli di moda nei salotti cultural-chic e che io ho usato a proposito dell’ultimo film di Tarantino (non voglio in realtà apparire sempre come l’ultimo dei deficienti). Lo scrittore in questione, in modo molto spiritoso e ironico- il che già denota intelligenza e umiltà- è passato oltre, bollando l'<<ucronia>> come definizione che va bene dalle 19 in poi all’aperitivo fico, preferendo indirizzare il tutto verso il più usuale termine <<fantasy>>. Ecco la stagione editoriale italiana negli ultimi dieci anni è stata scandita dalle mode e dalle correnti: tra il 2000 e il 2006 abbiamo navigato, ci siamo sbracciati per stare a galla nel mar nero del <<noir>>, travestito spesso come genere in grado di rileggere l’uomo e il mondo. Vero per alcuni, quelli che lo sanno fare e vanno oltre. Mandavi uno scritto a un editore e questi ti chiedeva:<< E’un noir?>>. Tu rispondevi <<No>> e secco bofonchiava <<Non ci interessa>>. Poi potevi avere scritto << L’idiota>> ma manco ti prendevano in considerazione. Ora, dal 2007 mi sembra-ho discusso qui dentro o nel blog precedente con qualcuno ma essendo mezzo rincretinito non posso fornire una data esatta- è spuntata la moda dell'<<ucronia>>, e molti fanno <<ucronia>>. Chi riscrive la storia d’Italia, chi del west, chi tra breve, prendendo spunto dalla cronaca, si scriverà la propria <<ucronia>> personale, tipo <<cosa sarebbe accaduto se fossi nato trasgender: io piccola Katty>> e già mi sono rotto. Primo perchè <<ucronia>> è vecchia come la letteratura, Omero non ha fatto ucronia con <<L’Iliade>>?A suo modo Dante non l’ha applicata? Morselli non ha ribaltato la storia della prima guerra mondiale? Dick non ha scritto la <<Svastica sotto il sole>>? E Ballard? E tanti altri? Ecco da lettore mi sembra la moda che avanza, l’omologazione che scandirà le uscite editoriali dei prossimi anni. E io, non da snob, ma da previdente, me ne starò alla larga salvo prova contraria. Certo gli scrittori devono mangiare, mantenere la famiglia: ma preferisco attendere il prossimo romanzo di chi prosegue per la propria strada, di chi segue la propria idea, di chi si prende il tempo, di chi scrive quando deve, quando la mosca ronza nel bicchiere e che con gli editori si confronta ma non ne subisce i ditkat di puro, semplice marketing. Ne conosco un paio, uno mi ha persino chiesto l’amicizia sul famigerato Facebook, cambiando il senso a una giornata bigia. E poi basta dire che i prodotti <<forti>> non tirano, non interessano. Sono palle colossali. Certo se si abitua la gente al surgelato e si cerca di convincerla che esiste solo quello l’opera riesce. Ma nel momento in cui si entra al ristorante e si mangia qualità sapete dove i surgelati vanno a finire? Ometto. Vado in libreria. Acquisto Parazzoli come un bimbo che vuole ascoltare un vecchio saggio.