Jane Campion in punta di piedi nel mondo maschile
Non ho mai letto i libri di Thomas Savage: in Italia sono pubblicati dall’editore Neri Pozza e prima dello splendido film di Jane Campion non sapevo nemmeno dell’esistenza de Il Potere del Cane– il romanzo dallo stesso titolo di Don Winslow c’entra come cavoli a merenda- ma sono sicuro che tutti coloro i quali si trovano nella mia situazione accorreranno in libreria ad acquistarlo;soprattutto chi ha amato in modo totale uno scrittore come Kent Haruf che da Savage è separato per generazione di appartenenza, il secondo del 1915 il primo del 1943, non può non essere rimasto affascinat dall’ultima opera della regista neozelandese, Leone d’Argento per la miglior regia a Venezia 2021, da poco uscita in sala e sui….monitor di Netflix. Perché Campion s’incammina con mano delicatissima in un mondo dove il paesaggio delle montagne all’orizzonte, delle praterie che portano ad esse,della neve che si scioglie e del vento che soffia ,diventa il contenitore-attore di ogni insicurezza umana, mettendo in dubbio l’epopea della frontiera.
Campane a morto sugli invincibili del vecchio West
Ne Il Potere del Cane il mito del vecchio, caro Far West viene destrutturato. Su esso suonano campane a morto. Non esistono più gli invincibili eroi che lottano contro altri e contro la natura. Nel 1925 delle prime automobili di massa, dell’avvento di una nuova borghesia, i vecchi cow boys diventano esseri fragili come un fuscello che usano il cinismo, la crudeltà per mantenere uno status che sta per essere violato e per celare ciò che non deve essere confessato e mostrato. In questo mondo si inserisce come fosse aria rarefatta di alta montagna Jane Campion che procede la propria narrazione con piccoli tocchi, affidandosi a episodi, al suo consueto gusto quasi ossessivo del piccolo particolare più che alla ridondanza delle parole. Così gira un film di enorme difficoltà tecnica e di scrittura proprio come Kent Haruf operò con i propri romanzi. Per questo ho affermato che gli appassionati di quel narratore ritroveranno in Campion lo stesso modo di impostare il lavoro e non potranno che apprezzarlo ed innamorarsi de Il Potere del Cane.
La memoria radice dei problemi umani
È il passato ad erodere l’esistenza del personaggio di Phil Burbanks, inarrivabile l’interpretazione di Benedict Cumberbatch, ed è il passato a condizionare scelte e decisioni anche estreme della vedova Rose Gordon e del figlio Peter, da fuoriclasse l’apporto recitativo di Kirsten Dunst e del sorprendente Kodi Smit-McPhee. Tutto il film gira attorno a ciò che è stato e di cui nulla sappiamo. È il trucco narrativo usato da Campion fin dalle prime scene. Phil si ferma spesso e osserva le montagne, vedendo in esse qualcosa d’altro che solo lui può immaginare o conoscere. Peter realizza fiori di carta che depone sulla tomba del padre morto e sulla tavola del ristorante gestito dalla madre.
Osservare il personaggio di Peter per capire Phil
I fratelli Burbanks chiamano i genitori Vecchi Signori; Peter Gordon entra in scena confondendo lo spettatore, quasi Campion voglia offrirci un indizio perché Peter appare come Phil da giovane ed è geniale artifizio di sceneggiatura. Sarà proprio il ragazzino fragile, insicuro, effemminato, l’alter ego di Phil. È Smit-McPhee che spiega chi è in realtà Cumberbatch. Lo spettatore distratto lo scoprirà più tardi quando a poco a poco la pluralità dei personaggi verrà dissolta e in scena resterà il trio d’assi, ovvero Cumberbatch, Dunst e Smit-McPhee. Gli altri saranno solo di contorno, meno incisivi del particolare che crea la storia, di una corda di pelle da costruire, di un lago segreto in cui immergersi, di un vitello morto per carbonchio, di una montagna che sembra un cane che abbaia, di corpi nudi che si immergono, del ricorrente ricordare il misterioso Bronko Harry, forse un eroe, forse un fantasma. Forse, appunto.
Sottrarre, celare, ammiccare e privare
Jane Campion è questa, creatrice di tensione e di interesse. Offre e nasconde, ripropone e allontana. Ricordate Lezioni di Piano? L’incedere nella storia è simile e non solo perché un piano e un banjo sono significanti all’interno del film; l’indagine psicologica avviene per indizi e sottrazioni. Gli sguardi rifuggono dalla banalità, i primi piani contengono sempre un sottointendere verso l’oltre, verso qualcuno o qualcosa che avverrà molto ma molto più tardi di quanto ci si possa attendere. Sensualità inimmaginabili per gli eroi della frontiera si trasformano in erotismo senza che nulla venga mostrato, la violenza psicologica degli uni, degli altri e …delle altre apparirà come delicata e disperata forma di coesistenza.
È guerra disperata contro i propri demoni
I tre personaggi cardine de Il Potere del Cane sono in guerra contro loro stessi, contro ciò che è stato; ognuno di essi combatte contro i propri demoni interiori, contro il non essere accettati e il non accettarsi. Campion non cade nel tranello del grand guignol o della violenza mostrata. Preferisce l’introspezione che nasce, lo ripetiamo allo sfinimento, quasi per contrasto da un gesto, da una sigaretta che arde, da pelli di animali essicate al sole che da innocue diventano minacciose, da un pezzo di stoffa simbolo di un segreto da non confessare, dal lento e consapevole autodistruggersi con il whisky per preparare la propria sottile vendetta.
Un vero e proprio romanzo per immagini
Torniamo quindi al punto di partenza:Il Potere del Cane di Jane Campion è romanzo per immagini. Mai fredde, mai algide; si uniscono in perfetta armonia con le parole per insinuarsi nelle sensazioni e negli incubi degli antieroi in scena. Fragili uomini il cui destino è camminare sul filo dell’ambiguità. Protetti e condannati allo stesso tempo da quelle montagne che si stagliano all’orizzonte. Simbolo di ciò che è irraggiungibile e che protegge, nasconde ciò che al mito non può mai essere contrapposto: la miseria dell’individuo.