I miei Oscar che forse non vinceranno

È UN REBUS indicare i vincitori degli Oscar 2014, perché mai come quest’anno la qualità è tanta, le nominations appaiono equilibrate. I giurati oltre all’epidermide devono, purtroppo, fare i conti con gli interessi delle produzioni e non sarà un caso se alla fine si cercherà di accontentare un po’ tutti. Allo spettatore comune resta però il privilegio dell’istinto e della pelle, il come ha sentito i vari film dentro, come li ha assorbiti. Così mi sono inventato le mie personali votazioni, restando sempre nell’alveo dei film scelti dall’Academy. Alcuni di essi non sono certo i migliori, soprattutto nella selezione riguardante le opere straniere, ed altri non hanno avuto il privilegio di entrare in nessuna nomination, penso per esempio al sottovalutato << Behind the Candelabra >> che avrebbe fatto del duo Douglas-Damon una perfetta accoppiata per le statuette da attore protagonista e non. Ma nel complesso si tratta di un’edizione molto ben distribuita e che riesce ad accontentare chi ama il cinema.
MIGLIOR FILM: AMERICAN HUSTLE. È il film da Oscar per eccellenza: divertente, senza mai un passaggio a vuoto, recitato in modo strepitoso, sceneggiato e montato benissimo. Dietro il ritmo forsennato, le battute a raffica, si cela una notevole profondità di discorso sull’apparenza, su ciò che si vede e ciò che è, sulle bugie, sulla forza dell’inganno. Un film che consegna il proprio regista David Owen Russell tra i grandissimi della contemporaneità.
MIGLIORE REGIA: STEVE MCQUEEN. Con << 12 Anni Schiavo >> il regista britannico entra nella maturità << industriale >> del cinema, creando un prodotto nel quale riesce ad abbinare alla perfezione le esigenze del videoartista con quelle più volgarmente commerciali. Decodifica in un sol colpo tutto il genere di film sullo schiavismo, seguendo uno schema di racconto classico ma senza ricorrere alla lacrima facile, allo sdegno programmato. Gioca sulla carne, sul corpo, sugli spazi, imponendo ai suoi protagonisti di caricarsi sulle spalle la tematica del contrasto. Un grande film che premia il regista occidentale forse più interessante tra le nuove leve.
MIGLIOR ATTORE: BRUCE DERN. È vero per Nebraska di Alexander Payne provo un amore speciale e so che la scelta su chi diventerà il miglior attore sarà quella più complessa. Ognuno dei candidati ha le proprie armi da mostrare. Ognuno è un fuoriclasse. Bocciare Leo DiCaprio in The Wolf of Wall Street è ingiusto, così come non accreditare di una grande prova Matthew McConaughey in Dallas Buyers Club è da pazzi. E non riconoscere la grandezza di Chiwetel Ejiofor in 12 Anni Schiavo è da ciechi. Ma Bruce Dern ha una compostezza, una dignità, una credibilità nell’interpretare il personaggio dell’anziano Woody che merita l’Oscar, bissando di fatto il premio ricevuto la scorsa primavera al festival di Cannes. Certo so che per le masse non ha lo stesso appeal di divi consolidati e più giovani, ma questo attore ha scritto pagine fondamentali della storia del cinema e insegna, seguendo la vecchia scuola, che per essere grandi non serve soltanto ingrassare o dimagrire, agitarsi, essere sopra le righe. Basta essere attori professionisti, ovvero sprigionare umanità, dare la sensazione al proprio pubblico di essere uno di loro, portarli a identificarsi. In Nebraska ci specchiamo nella sua voglia di non mollare e come lui inseguiamo un sogno artificiale che sa di vita e che alla fine aprirà le porte a un rapporto vero con il figlio.Statuetta a lui anche se a vincere, accetto scommesse, sarà McConaughey.
MIGLIOR ATTRICE: AMY ADAMS. In versione << femme fatale >>l’ex suorina del cinema a stelle e strisce, ideale fidanzata di un’intera nazione, rompe con il passato e con l’ingenuo buonismo che troppo spesso le avevano appiccicato. In << American Hustle >> mostra gambe, seno, curve e soprattutto un trasformismo recitativo importante, confermando di essere una campionessa. Il film di Russell ne esalta le qualità e l’ironia, riuscendo a farla apparire come autentico punto di riferimento della storia. Non penso abbia rivali per la statuetta.
MIGLIOR ATTOR NON PROTAGONISTA: JARED LETO. Sarebbe meglio definirlo coprotagonista, perché è colui che fa da contraltare a McConaughey in Dallas Buyers Club. La sua interpretazione del travestito Rayon non scade mai nella macchietta, non appare mai forzata, mai consegnata allo stereotipo.È una prova importante la sua, nella quale trasmette la drammaticità della propria condizione in modo credibile. Il fatto che sia musicista prima che attore non fa che incrementare la sua statura artistica.
MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA:JUNE SQUIBB.Lo so che a vincere sarà la splendida Jennifer Lawrence di American Hustle ma io tifo per questa ottantaquattrenne, moglie di Bruce Dern in Nebraska. Femmina burbera, volgare, incattivita, sboccata, brontolona ma vitale che scandisce con la propria presenza alcune delle scene di un film che mi è restato addosso. Basta ricordare quello che combina al cimitero abbandonato di Hawthorne per innamorarsi della sua performance.
MIGLIORE FILM STRANIERO:LA GRANDE BELLEZZA. Dovrebbe vincere facile facile. Gli sfidanti non sono all’altezza della situazione e così Paolo Sorrentino potrebbe portare in Italia un Oscar. Se mi leggete sapete già come la penso: La Grande Bellezza è un film intriso di tutti quegli stereotipi propri del cinema d’autore italiano del tempo che fu. Ma agli occhi del pubblico estero il giochino funziona a meraviglia. Se ci si fa prendere dalla pura fascinazione, tralasciando il contenuto e la sceneggiatura pasticciona, i continui rimandi, al deja vu sia cinematografico sia letterario, il film diventa uno dei migliori degli ultimi anni. In ogni caso è spudoratamente superiore ai rivali.
MIGLIOR MONTAGGIO: JAY CASSIDY, CRISPIN STRUTHERS E ALAN BAUMGARTEN per American Hustle. Su questo premio per me non può nemmeno sgocciolare una grondaia. Si tratta di un lavoro certosino, fondamentale, su un film dalla struttura molto complessa. Il solo pensare che ogni scena è musicata in modo differente dalla precedente è roba da mandare in manicomio. Gli stacchi, le dissolvenze, il cambio di ritmo, i continui rimandi temporali, sono gli elementi che chi lavora dietro le quinte non può permettersi di sbagliare. Come in televisione, il montaggio è la parte preponderante del lavoro. Con cattivi montatori anche il miglior regista al mondo fa una figura barbina. Con bravi montatori anche il peggior girato può diventare una piccola chicca. In American Hustle i tre e la loro equipe sono perfetti e basilari per il film.
MIGLIORE FOTOGRAFIA: PHEDON PAPAMICHAEL per Nebraska. Ancora lui, il film outsider per eccellenza, quello che più si avvicina alla formazione europea, al centro dei miei privatissimi Oscar. Il bianco e nero dell’opera di Alexander Payne è da antologia. Il senso di sradicamento, di mancanza di prospettive pur in paesaggi sterminati, l’ossessione di un passato incombente dal quale non si riesce ad uscire, vengono resi magnificamente dalla fotografia. Bellezza allo stato puro.
MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE: BOB NELSON per Nebraska.Non era facile creare un vero e proprio romanzo per immagini. Lo sceneggiatore si inventa una relazione mancante tra padre e figlio per spiegare la fine dell’American Dream e portarci in un territorio dove nessuno parla del domani, tranne appunto i personaggi di Bruce Dern e di suo figlio William Forte– ahi ahi sbagliato non averlo inserito tra i non protagonisti- che si aggrappano alla vita e fanno vita. Nelson ci disegna un preciso spaccato della società americana meno conosciuta, quella che se ne sta alla larga dalle metropoli. Fa ciò che un tempo era descritto dai fratelli Coen, giustamente bocciati dall’Academy per l’insapore A proposito di Davis.
MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE: JOHN RIDLEY per 12 Anni Schiavo. Da un libro di ordinarie crudeltà schiaviste, ha tratto per Steve McQueen uno script molto composto, mai sopra le righe, molto controllato. Accenni precisi di epoca, struttura sociale, problematiche, intense quanto brevi introspezioni dei personaggi. Degno basamento sul quale poggia un film importante.
MIGLIOR SCENOGRAFIA: ANDY NICHOLSON, ROSIE GOODWIN E JOANNE WOOLARD per << Gravity >>. Scelta non facile perché i rivali fanno parte dello staff di American Hustle. Ma diamo spazio al sogno visionario di Alfonso Cuàron che pur con innegabili limiti di trama e sceneggiatura firma un film dal forte impatto estetico.
MIGLIORI COSTUMI: MICHAEL WILKINSON per American Hustle. Perfetta la capacità di ricreare l’atmosfera di quegli anni. Abbondano i colori violenti, quelli pastello, i pantaloni a zampa d’elefante, le camicie sbottonate, le scollature delle ragazze, gli spacchi, gli occhiali. Un’altra arma del film di Russell.

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