12 Anni Schiavo, la conferma di McQueen e della sua coerenza narrativa

12 anni
SOLOMON NORTHUP non è Bobby Sands:entrambi hanno il violento desiderio di riconquistare la libertà. Ma i due si trovano su sponde differenti. Il secondo per Steve McQueen era una sorta di magnifico Cristo laico -http://guido.sgwebitaly.it/articoli/il-devastante-cristo-laico-di-steve-mcqueen/#more-393- capace da singolo di incidere nella storia. Il primo no, la sua è una funzione più individuale che pubblica. È un uomo nato libero, con una famiglia, una bella professione di violinista, che si ritrova dall’oggi al domani schiavo nelle piantagioni della Lousiana. I suoi diritti sono stati azzerati, la sua identità annullata, la sua dignità calpestata. Ha perso tutto per coazione e inganno. Chi lo tiene in schiavitù lo ha comprato da altri. Moglie, figli, lavoro, casa, ambiente di riferimento: tutto è un ricordo sul quale potrebbe piangere e disperarsi. Potrebbe anche urlare, ribellarsi. Sa che ci rimetterebbe la vita, l’ultima speranza. Vive dodici anni da schiavo facendosi furbo, adattandosi, convivendo con le brutture, diventando il punto di riferimento di gente come lui. Materia pericolosa quella di trattare una storia di ingiustizia partendo da un libro autobiografico. C’era il rischio di raccontare la solita storiella infarcita di lacrime e di sdegno programmato. Il cattivo padrone bianco, il buon schiavo nero. Ma Steve McQueen non è scivolato sulla macchia d’olio. Ha compiuto, dopo << Hunger >> e << Shame >> non tanto un salto qualitativo quanto una salita verso la maturità. Non perdendo le proprie caratteristiche, entrando nel binario della cinematografia in apparenza classica ma decodificandola, imponendo uno stile, un’ottica, una visione. Tutta sua. Così << 12 Anni Schiavo si trasforma in qualcosa di sottilmente diverso da ciò che tanti altri hanno proposto al cinema.

AMMETTIAMO il nostro personale innamoramento per il regista inglese. In << 12 Anni Schiavo >> poteva crollare, fallire. C’erano tutte le premesse perché ciò avvenisse: la storia, l’ambientazione, così distanti dai suoi film precedenti. McQueen con schiavi e schiavisti sembrava la classica persona sbagliata inserita in una produzione da plauso universale. E alla faccia di quelli che lo attendevano al varco non ha fallito. Anzi. Ha affrontato la materia preferendo non aggredirla, camminando passo dopo passo accanto al proprio protagonista e come il proprio protagonista facendosi furbo. Non ha costruito un film di protesta, non ha fatto << politica >> urlando il proprio disgusto. Ci è arrivato usando la tecnica di ripresa, sfruttando le meravigliose interpretazioni del cast, con Chiwetel Ejiofor e Michael Fassbender su tutti, per lanciare in sala quell’apnea che prende l’individuo alle prese con un’ingiustizia subìta più grande di lui e fondamentalmente irrisolvibile. A scandire il film sono i corpi martoriati, il rumore delle frustate, la crudeltà gratuita, la sopportazione responsabile attraverso la quale passa probabilmente l’illusione di una futura libertà. La rassegnazione esteriore che si basa sul tumulto delle viscere. Più vicino a << Hunger >> che a << Shame >> << 12 Anni Schiavo >> non è un film superficiale come qualcuno ha insinuato. Tutt’altro. Ci fa entrare nel dramma del protagonista con la sua stessa incredulità. Penetriamo in quello che sembra un brutto sogno, così, all’improvviso. Ci ubriachiamo felici da uomini liberi e ci ritroviamo all’alba, senza alcun ricordo plausibile, in catene, senza alcuna opportunità per poter spiegare. Sono i volti, le piccole storie individuali, il senso di smarrimento, la cancellazione della speranza e la forza vitale della resistenza a fare il film di McQueen senza necessità ulteriore dei discorsini facili facili.

IL CINEMA di McQueen arriva a spiegare attraverso l’indagine sulla carne. Sgorga il sangue dalle ferite e pulsa di vitalità. Sono schiaffi assestati, pugni inferti seguendo la regola del buon gusto, della lealtà nei confronti dello spettatore. Non c’è bisogno di approfondire il travaglio degli uomini che appaiono sullo schermo: è la camera che lo spiega. Sono gli sguardi, i comportamenti. Solomon Northup, Chiwetel Ejiofor, ha l’occhio intriso di malinconia e di rabbia. È una perfetta sintesi di chi si ritrova catapultato in un inferno dove si cerca di azzerare persino la pietà, la solidarietà. Dove la sopravvivenza passa dall’eseguire ordini infami, dal resistere. Il possedere schiavi è per il padrone Edwin Epps, Michael Fassbender la giustificazione per cavalcare l’illusione del potere, per dare un senso all’impotenza, alle paranoie, alla sudditanza nei confronti della moglie. McQueen è talmente bravo dal non dividere questo mondo in bianco e nero. Ci sono i personaggi che stanno a metà, quelli rassegnati, quelli sicuri, quelli che si sono alleati con il nemico per acquisire dignità sociale. Prendendo come base una storia di ordinaria, per l’epoca, schifosa ingiustizia, l’autore britannico disegna un magnifico quadro sui labirinti nei quali l’individuo è costretto a vivere con l’alea di un fantasma della libertà che grava su ogni scena e contrasta con la condizione dei suoi schiavi: segue da esegeta il lavoro quotidiano, cosa rara nei film su queste problematiche, mostra le immense piantagioni di cotone, i paesaggi con la linea dell’orizzonte, le pale delle navi che sollevano l’acqua, le albe, i magnifici tramonti. Ciò che lo schiavo Northup osserva, nel quale è inserito, ma che non può vivere. La prigione irlandese di Long Kesh era un muro infinito da imbrattare per i prigionieri dell’Ira in << Hunger >>; i palazzi che il personaggio di Fassbender sfilava mentre correva di notte in << Shame >> rappresentavano quasi una via crucis alla quale si assoggettava l’individuo del XXI secolo- http://guido.sgwebitaly.it/?p=381-, i panorami sconfinati di << 12 Anni Schiavo >> sono proprio ciò che appare ma che non si riesce a vivere. Quasi un bene a cui tendere. Quello al quale punta il protagonista: la riconquista non della libertà ma dello status di uomo, di essere vivente nel mondo. La magnifica scena dell’impiccagione con la figura di Solomon in precario equilibrio tra vita e morte nell’apparente pace del paesaggio che lo circonda è significativa del contrasto con il quale il regista gioca in continuazione. Bellezza e perfezione delle immagini, quasi pitture viventi, crudeltà radicale da parte del mondo.

IL FILM di McQueen è supportato molto bene dagli attori. L’inglese Ejiofor, giustamente candidato all’Oscar, non cade mai nel tranello del pietismo. È portatore di una rabbia controllata, fautore di una protesta che proviene dal cervello: Michael Fassbender per l’ennesima volta dimostra di essere un grandissimo. Nelle mani di McQueen che lo dirige per la terza volta offre il meglio anche nella parte dello schiavista psicopatico, crudele, imprigionato dai propri fantasmi, fintamente libero, in bilico tra il delitto e il relativo castigo. Breve ma intensa anche la presenza di Brad Pitt, che è uno dei produttori del film, di Paul Giamatti, viscido come mai. Convincono anche tutti gli altri e convince soprattutto Steve McQueen che segna un altro punto a proprio favore. << 12 Anni Schiavo >> annuncia un percorso evolutivo e la capacità di passeggiare su storie in apparenza molto differenti e ambientate in epoche che poco c’entrano l’una con l’altra mantenendo ben salda la propria coerenza. L’uomo, le sue compulsioni, l’ansia di libertà, le sue lotte al centro di tutto. Una declinazione al singolare come a volerci dire che i cambiamenti sociali non possono trascendere da ciò che noi compiamo e che la vera forza è quella che pulsa dentro ogni individuo.

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