Foglie al Vento:viva Kaurismäki, il suo dolore travestito da dolcezza, le sue sceneggiature, il suo cinema

La favola che migliora la realtà

Aki Kaurismäki mostra per l’ennesima volta il proprio talento nel suo ultimo film Foglie al Vento, premiato dalla giuria a Cannes ’23, arrivato finalmente nelle sale italiane nel periodo natalizio. Come sempre da una piccolissima storia l’autore finlandese riesce a creare un’allegoria esistenziale profonda, dal sapore dolceamaro, in cui il peso della sceneggiatura, dialoghi compresi, costuisce la base per la riuscita dell’opera. In Foglie al Vento la poetica di Kaurismäki conferma la propria originalità, il marchio di fabbrica che può trovare assonanze anche al di fuori del cinema. Ogni qual volta ci si trova di fronte a un suo lavoro non si può non rammentare la lezione teatrale di Samuel Beckett, la progressiva spoliazione della verbosità, con i dialoghi ridotti alla essenzialità della frase e del botta-risposta. Kaurismäki non ha una visione del mondo, ha piuttosto un suo mondo da raccontare-Il mondo a misura di Kaurismaeki– attraverso l’artificio della favola-Kaurismäki: una favola per svelare il reale. Senza buonismo né pietismo. Con poesia– ed è ciò che lo rende unico. Amabile, riflessivo, commovente, dolcissimo, ironico.

Esistenze alla ricerca di un senso

Ansa e Holappa sono gli ennesimi derelitti che Kaurismäki pone al centro del racconto. Lei licenziata dal supermercato, lui dalla fabbrica. Ansa non ha da mangiare, Holappa si rifugia nel bere. Sembrano ai margini della società finlandese ma lo sono anche tutti i personaggi che li contornano. Perfetta rappresentazione di un paese in cui la solitudine pare essere quasi endemica, dove la non comunicabilità ritma le esistenze e i silenzi vengono spezzati dalle esibizioni canore di un karaoke alla buona e dall’osservazione del vuoto, dei falsi movimenti, dove gli individui che si vedono nelle quinte delle varie scene sono immobili, statue viventi, bloccate. Sullo sfondo, ma ben presenti, risuonano le notizie alla radio sull’invasione russa in Ucraina. Con pochi tocchi Kaurismäki fotografa l’ansia di una nazione che vive in apnea con il terrore di ritrovarsi il confinante in casa propria. Saranno favola e ironia a travestire in Foglie al Vento questa amarezza di fondo. Tutto ciò avverrà attraverso due condizioni: la casualità di un incontro, di indirizzi perduti, di cene mal riuscite, di sparizioni e riapparizioni e la consapevolezza di aver trovato finalmente un senso esistenziale, volgarmente detto amore.

Tra storia del cinema e della musica

Il film è bellissimo. Vive di grandi immagini, ognuna un quadro a sè stante. C’è una profonda conoscenza della macchina da presa, della fotografia, dell’uso del colore. L’ottica inquadra volti perplessi e malinconici, gli esterni sembrano freddi nella luce, gli interni coloratissimi nel buio, simili all’uso che ne fa Lynch nelle sue opere. La musica diventa protagonista di ogni scena e anche qui Kaurismäki si diverte a inserire la versione finlandese di molte canzoni-il finale è tutto all’insegna della rivisitazione locale di Les Feuilles Mortes di Jacques Prevert e Jospeh Kosma– intervallandole con la Patetica di Tchaikovsky. È un altro marchio di fabbrica dell’autore-chi si ricorda del rocker Little Bob alias Roberto Piazza in Miracolo a le Havre?-così come le continue citazioni cinematografiche. Asa e Holappa si divertono come matti a guardare I morti non muoiono di Jarmush e gli spettatori trovano che quel film sembri Diario di un curato di campagna di Bresson, ironico riferimento ai birignao dei critici cinematografici categoria di cui Kaurismäki faceva parte. E ci sono tante locandine di film del passato, Rocco e i suoi fratelli, Un amore splendido di McCarey, e un finale in cui Chaplin viene evocato come a dire che solo il cinema può mutare, mostrandola, la realtà.

Pöysti e Vatanen perfetti innamorati

Alma Pöysti e Jussi Vatanen sono i perfetti interpreti di Ansa e Hoppala. Aderiscono alle rispettive solitudini in modo epidermico e sanno sprigionare una dolcezza non comune unita ad un’espressività sempre differente nei piccoli particolari. Una prova maiuscola da parte dei due che non mette in disparte gli altri attori, su tutti Janne Hyytiäinen, uno dei fedelissimi del regista. A lui e a Vatanen spettano le battute più assurde e i no sense dietro cui si celano grandi verità come queste prima e dopo l’esibizione in karaoke: << Ho una bella voce, sono un basso; si un baritono>>. << Hai cantato bene, sei un soprano>>. <<Si ho proprio una voce da tenore>>. Il film procede spedito, meno di una partita di calcio senza i supplementari. Un altro merito di un grande regista che sa rendere prezioso ciò che sembra piccolo.

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