Sean Baker fa riflettere con il sorriso
Prendiamo il modo di ritmare il racconto del quasi dimenticato Fuori Orario di Martin Scorsese, coniughiamolo con l’effervescenza di situazioni alla Blake Edwards e avremo probabilmente un risultato molto simile ad Anora, il fim di Sean Baker che a sorpresa ha vinto la Palma d’Oro al festival di Cannes del 2024. Benvenuti quindi nella centrifuga di risate di un’opera che forse non sarà un capolavoro ma che ha tutte le carte in regola per non essere trascurata dalla memoria negli anni a venire. Perché dietro la patina pseudo leggera, Anora è in realtà un’opera molto profonda, ben poco banale in cui Baker cala la propria mannaia sui valori morali di questo scombinatissimo XXI secolo. Ne esce un ritratto sconfortante di quali siano i princìpi che regolano la società contemporanea.
La compravendita dei sentimenti
L‘escort che lavora in un locale di New York viene agganciata e poi presa come dama di compagnia per una settimana, annessi e connessi compresi, dal giovane figlio di un magnate russo. Il problema è che la ragazza fiuta l’affare della vita e approfittando dell’assoluta faciloneria del ricco rampollo riuscirà a farsi sposare a Las Vegas. Come in ogni storia che si rispetti il diavolo ci metterà la coda e da quel momento al posto delle feste sfrenate in pieno russian style, Baker è eccezionale nel mostrare la prepotenza e la volgarità dei nuovi ricchi dell’ex Unione delle Repubbliche Sovietiche, il film deflagrerà come un tappo di champagne sparato a tutta altezza. Lo sposo scomparirà per sfuggire agli scagnozzi dei genitori e ci sarà una ricerca del fuggitivo rocambolesca, a volte quasi demenziale , che mai scadrà nello scontato. Tutto in Anora funziona: ritmo, sceneggiatura, interpretazioni e profondità. Sean Baker mostra il deserto morale dei suoi giovani protagonisti facendo ridere ma calcando la mano sulla superficialità su cui basano le loro esistenze. C’è chi ha il potere di dominio e di controllo, chi, come il giovane russo, approfitta di questa condizione per lanciarsi in uno stile di vita fatto di nulla, escort, playstation, droga e chi, come la ragazza, sfrutta l’unico potere che possiede, quello del corpo e lo usa a proposito. È in apparenza una pura compravendita sentimentale ma Anora non prenderà una piega simile a Pretty Woman e non ci sarà nessun principe azzurro perché Cenerentola nel XXI secolo non può più esistere.
Una scena madre alla Blake Edwards
Il Mondo che ci mostra Anora è sconfortante. Dietro la leggerezza si annida questo vuoto, il cui emblema sono le camminate lungo la spiaggia di Coney Island in cui il gruppo degli inseguitori del ragazzo si muove alla stregua di una trasposizione del Fascino Discreto della Borghesia con la differenza che qui non si tratta di non sapere dove andare ma solo di rimediare a una situazione nata con il denaro come base e da concludersi alla stessa maniera. Sean Baker ci introduce in un autentico Luna Park cinematografico; non è un caso che spesso giri il film in quello reale di Coney Island. Siamo nel regno dei sogni di cartapesta. Anora è una giostra di risate e di scene madri: una soprattutto ricorda il modo di fare cinema di Blake Edwards ed è lunghissima, una delle migliori viste negli ultimi anni. I tre << scagnozzi >> del magnate inviati nella villa dove risiede il figlio devono riportarlo a più miti ragioni e nel contempo convincere l’escort a chiedere l’annullamento del matrimonio. Da lì si scatena una serie di eventi, tutti girati all’interno della stessa stanza, dove non si sente nemmeno la mancanza del Peter Sellers della situazione, tanta è la bravura degli attori e la perfetta adesione tra testo e azione del film.
Un finale bellissimo, emozionante
Dopo il molto ridere, Anora giungerà alla resa dei conti con un finale splendido, toccante, in cui attraverso un pianto liberatorio forse si capirà che c’è qualcosa che va oltre il corpo e il suo uso e che, prendendo coscienza di ciò che si è, si potrà iniziare a vivere scoprendo il mondo fino ad allora sconosciuto del sentimento e di chi sa offrirlo. Non è un happy end tradizionale messo lì per compiacere e direi che non è nemmeno un lieto fine, bensì una conclusione da interpretare sotto una duplice ottica, quella appunto descritta. Anora si avvale di un cast che si accorda in modo perfetto con ciò che ha voluto mostrare il proprio regista. Mikey Madison è la reginetta del film: meriterebbe l’Oscar per quanto riesca a essere credibile in ogni scena, standosene alla larga da qualsiasi stereotipo. È una escort dallo sguardo stupito che non riesce a celare il timore di vivere in una dimensione irreale e che nasconde la disperazione di non avere una identità precisa che vada oltre la ricerca del denaro. Assieme a lei, Yuri Borisov riesce a invertire il senso del film nel momento in cui entra in scena. Si capisce che sarà centrale nella storia attraverso i suoi silenzi e i suoi occhi che sembrano osservare un mondo in cui è costretto a stare ma con cui non ha alcun senso di appartenenza. Sarà questo grande attore russo a determinare il cambiamento. Bravissimi anche gli altri, dal giovanissimo e brillante Mark Ėjdel’štejn a Vache Tovmasyan per arrivare a Karren Karagulian, Toros protagonista di una prova da non dimenticare, e Daria Ekamasova: la sua è una presenza breve ma fondamentale in Anora, perché nel personaggio di Galina racchiude tutto ciò che è diventato il nostro mondo.