I dubbi che ci donano i morenti:la grande lezione di Bellocchio

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NON ESISTE in Italia un autore cinematografico come Marco Bellocchio. Non c’è un omologo capace di scoperchiare i dubbi morali degli individui e delle aggregazioni sociali di fronte a fattori esterni che scatenano una lunga serie di punti interrogativi, reazioni, decisioni sofferte. La summa di tutto il grande cinema di Bellocchio può benissimo essere rappresentata dal suo ultimo film , <<Bella addormentata>> che dopo i fasti della Mostra del Cinema di Venezia è giunto quasi in contemporanea nelle sale. Non date retta al facile tam-tam pubblicitario o mediatico costruito ad arte: il film non è quello <<scandalo>> programmato del quale in molti si sono riempiti le labbra. Per nulla. E’piuttosto una disincantata, precisa visione del caos che pervade il singolo nel momento della scelta morale che per  Bellocchio comunque e quantunque laico rappresenta sempre il punto di partenza e di arrivo di tutte le sue opere. Non si tratta, quindi, di un film sul caso Englaro. Questo sta nello sfondo dell’ottima sceneggiatura, curata anche da quel mago di cinema che è Ciprì, come fatto scatenante di tre storie circolari che restano ben separate nella loro cronaca ma idealmente unite proprio per via del differente approccio individuale di ognuna di questa. Sulla scia del caso Englaro un senatore di Forza Italia, Toni Servillo tornato a essere meno gigione e quindi di caratura superiore, è chiamato a votare la legge sul fine vita. Non è d’accordo con la deriva verticistica voluta dal partito, soprattutto si accorge che quel disegno di norme è lontanissimo dalla sua morale. Ha già vissuto il dubbio legato alla scelta se far proseguire l’esistenza alla moglie malata o aiutarla nello spegnerle le sofferenze. E’un uomo combattuto, che si pone domande. Che vive il voto chiudendosi in sé stesso, cercando disperatamente di ricucire il rapporto con la figlia, Alba Rohrwacher, a sua volta cattolica quasi oltranzista e attivista dei movimenti a favore della vita a qualunque costo. In una casa lussuosa, invece, si sta consumando la tragedia di un’ altra <<bella addormentata>>, la figlia dell’attrice Divina Madre, Isabelle Huppert, che si aggrappa più al formalismo della religione che alla fede stessa, per cercare di risvegliarla da un coma irreversibile e che attraverso questo perde qualsiasi rapporto con la famiglia stessa. E poi c’è un’altra storia che all’apparenza sembra essere del tutto slegata dalle prime due: quella della tossica autodistruttiva Rossa, Maya Sansa, e del medico Pallido, Piergiorgio Bellocchio, che in un improvviso slancio morale vuole donare vita a chi invece sembra non sapersene che fare.

TUTTO, in altre mani, avrebbe corso il rischio di restare in superficie. Non con Bellocchio. I canovacci delle tre storie parallele e separate, ma mai così unite ed intrecciate anche in scena, si trasformano ben presto nell’occasione per interrogarsi, per mostrarci l’uomo di fronte al dubbio, per farci entrare nelle paranoie di ognuno di noi, nelle ipocrisie dell’ambiente, nel cinismo, nella lotta contro ciò che di fatto non sappiamo spiegare. Bellocchio con grande merito non prende posizione. La sua è di sicuro una visione laica. E’la camera, sono le vite vissute dei protagonisti a parlare. Sono le continue telefonate senza risposta tra padre e figlia, i flash back di un dramma passato, il volto di Huppert che si specchia fugacemente sempre prima di entrare nella camera-simulacro di un’esibizione teatrale-della figlia in coma, il rapporto che con lei hanno il giovane figlio e il marito non al suo livello artistico. E’il cinismo di chi vive dentro gli ospedali e raccoglie scommesse sulla morte dei pazienti, è il rigurgito di coscienza di un medico qualsiasi che vuole sancire il diritto alla vita di chi vivo è ma non vuole più esserlo. Bellocchio, quindi, fa un ritratto spietato delle divisioni di campo quasi mai disinteressate, della superficialità degli atteggiamenti giovanilistici degli studenti, del vuoto nel quale restano sospesi protagonisti e comprimari del film. E’un’umanità che sembra forse per la prima volta porsi le domande più semplici e allo stesso tempo complicate, quelle alle quali né cinema, né arte, né letteratura danno mai risposta perché essendo create da umani non possono superare la loro stessa conoscenza. E’un teatro quello che mette in scena l’autore emiliano, non un teatrino. In ogni volto e dietro ogni riflessione si annida il senso di impotenza e  quando la scelta di campo diventerà chiara, come nel caso di Toni Servillo, sarà la beffa, ovvero la morte della Englaro, a renderla pubblicamente inoffensiva e sconosciuta. E’ un Bellocchio più equo che iconoclasta, ma sempre caustico, graffiante, crudele nel seguire la civiltà dell’apparenza e dell’immagine ad ogni costo. Ne ha per tutti: con virtuosismo e raffinatezza smaschera il gioco della politica, della religione, quello del laicismo. Sono i morenti e non i morti a mettersi di traverso alle vite degli altri. E’ la bella addormentata a creare lo scompiglio nella famiglia di Isabelle Huppert e di Gianmarco Tognazzi. E’la passione della cattolicissima Alba Rohrwacher per il laico Michele Riondino a cambiarle l’ottica e a permetterle di riavvicinarsi al padre; è l’abnegazione di Pier Giorgio Bellocchio a salvare e probabilmente amare Maya Sansa.  In mezzo a loro la figura dello psicologo dei politici, un favoloso Roberto Herlitzka, funziona per Bellocchio come il fool shakespeariano, a  illustrare con poche battute il deserto morale  della politica e dei suoi infelici attori.

MI VIENE difficile immaginare un film più intelligente de la << Bella addormentata>>. Talmente complesso nel brontolio continuo del dubbio e delle speranze da risultare persino leggero nello svolgimento. Con Bellocchio il divertimento della ragione raggiunge il proprio apice. Con alcune scene memorabili: la sauna nella quale i senatori si calano, immersi nelle luci di candela mentre inizia la votazione, ha un sapore alla Sokurov-come non notare la somiglianza con una delle scene madri del Faust, quella del bagno con l’improvvisa apparizione di Mefistofele- ed è forse quella che resterà maggiormente impressa. Ma allo stesso tempo, proprio per contestualizzare lo svolgimento, Bellocchio è rigoroso nel ritrovare il materiale di repertorio televisivo su quei  giorni  del 2009 in cui il caso Englaro diventò preponderante rispetto a tutte le altre notizie. Ed è anche questo un suo merito, come se ci volesse dire che nella società della superficie  la morale privata viene scossa solo quando un fatto diventa immagine. Come gli specchi nei quali si riflette il volto della Divina Attrice, la Huppert, la cui scelta finale non sveliamo. A perdere e a vincere in questo stupendo film saranno tutti ed è giusto quindi che la conclusione venga affidata alla storia in apparenza più debole, perché più pura e naturale, quella tra Sansa e il sempre più bravo figlio del regista. Non sappiamo se e cosa <<La bella addormentata>> vincerà a Venezia. Sappiamo però che Marco Bellocchio, il suo staff, i suoi attori ci hanno fatto un grande regalo: donarci un film che resterà.

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