Una sana perfezione che non cela alcune pecche

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A VEDERE gli ottimi film della Mostra del Cinema di Venezia, almeno cinque di caratura superiore alla media, si comprende abbastanza bene come il verdetto della giuria si sia indirizzato verso <<Pietà>> di Kim Ki  Duk. Tra tutti era il più originale, il più personale, se vogliamo anche il più difficile. Un film che usciva dal coro, mettiamo dividendo e non trovando consensi unanimi. <<The Master>> di Paul Thomas Anderson appartiene invece alla prima categoria:stilisticamente perfetto, recitato in maniera esemplare da un immenso Joaquim Phoenix e dal quasi sempre presente nei film diretti dall’autore americano, Philip Seymour Hoffman ha però un non so che di scontato. Più un <<filmone>> che un <<grande>> film, pur se si resta nell’alveo delle opere di ottima qualità complessiva e da non perdere per nessuna ragione al mondo. E’una semplice riflessione che forse dipende da gusti individuali quando si tratta di aggirarsi tra le cose migliori della stagione.

<<The Master>>, non solo il rapporto tra maestro e allievo. Tra un furbo ciarlatano che raggruppa adepti attorno a una setta, ogni riferimento al fondatore di Scientology non è puramente casuale, e un marinaio alcolista e psicopatico, scottato dalla perdita dell’amore, dalle ferite che gli ha procurato la guerra nel Pacifico, dall’incapacità di vedere di fronte a sé un futuro. Un uomo che Anderson in modo visionario ed efficace, porta a incidere immediatamente nel film con tocchi geniali, da cineteca: quasi alla Ferreri la scena in cui Phoenix giace sulla spiaggia del Pacifico simulando l’amore con una donna di sabbia. E’su questo duello psicologico che si svolge tutto il film di Anderson. Tra chi sente di poter forgiare e chi ha bisogno di una guida. Tra chi è in cerca della creatura perfettamente debole e chi ha bisogno di un riferimento, pur sapendo che si tratta di nulla. Una sfida basata sulla reciproca disperazione. E’la metafora della nazione americana, come dice qualcuno, ma è anche una storia di amore necessario, tra carnefice e vittima che si scambiano a poco a poco i ruoli, di anti eroi che condividono la propria solitudine esistenziale. E’l’aspetto più interessante di The Master. Man mano che la relazione tra i due procede, maggiore è la perdita di sicurezza del maestro Hoffman che sembra trarre dall’allievo Freddie Quell, Phoenix, l’unica autentica forza per essere credibile nel vendere illusioni.  In mezzo a loro, quasi <<deus ex machina>>, la giovane moglie di  Lancaster Dodd, appunto il <<master>>, Amy Adams, colei che ne condiziona le scelte, lo indirizza, lo plasma.

La trama di <<The Master>> è scarna, sottile come un filamento. Sembra importare poco a Anderson di andare alle radici del fenomeno Scientology. Quella è una scusa nuda e cruda per parlare del rapporto che si crea tra Hoffman e Phoenix, dove man mano che si va avanti nel film appare sempre più evidente il  fallimento  di Lancaster Dodd che non solo non cancella il passato di Quell ma ne determina una presa di coscienza e la capacità, assai relativa come vedremo nel sottofinale del film, di camminare con le proprie gambe anche senza una guida. Il faccia a faccia che precede le ultime scene è un puro duello nel quale i protagonisti sembrano osservare le immagini di loro stessi riflesse l’uno nell’altro, come se fossero parti della stessa psiche  e che rievoca il primo incontro all’interno di uno yacht. Uno ha bisogno dell’altro e il legame delle menti forse non si concluderà mai.

Tutto perfetto, persino sublime nella recitazione. Anderson confeziona  come un sarto <<The Master>> sulle spalle resistenti dei suoi due eroi fallimentari. Senza di loro il film stesso perderebbe mordente, risulterebbe fin troppo allungato verso una conclusione tutto sommato scontata . Invece, e qui la giuria veneziana ha visto giusto, Joaquim Phoenix e Philip Seymour Hoffman sorreggono l’impalcatura. Il primo, dimagrito, è istrionesco, pieno di tic, mostruoso nella sua discesa nella follia fin dalla prima scena. Mostruoso nelle espressioni, mostruoso, in senso positivo, in una recitazione da asso che lo consegna, in modo definitivo, all’empireo dei grandi interpreti. Hoffman non gli è da meno. E’il demiurgo della situazione , ma si tiene sempre un passo indietro rispetto al collega perché questo vuole il soggetto. Ed è perfetto come sempre riuscendo ad accennare i propri dubbi, le proprie sofferenze, il proprio sapere di essere un venditore di fumo con pochissimi sguardi perplessi e riflessivi. Rigida e forse un po’troppo legata allo script Amy Adams, meno sciolta che in altre occasioni. Così Paul Thomas Anderson aggiunge un’altra gemma alla sua produzione. Dal bellissimo <<Boogie Nights>> a <<Magnolia>>– per me il suo film migliore- passando per il non sempre felice Ubriaco d’amore e il portentoso Il petroliere. Pur essendo molto bello, ricercato, curato e ripreso in modo divino a questo <<The Master>> sembra mancare qualcosa per definirlo superiore a quelli che lo hanno preceduto. Non lo aiuta la trama, lo agevolano i dialoghi, lo frena forse una regia fin troppo controllata. C’è molto estro, sia chiaro, ma manca la lampadina del genio che si accende solo ad intermittenza, scadendo nell’eccessivamente corretto.

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