L’assurdo che coglie il bersaglio
C’È sempre stata nel cinema di Jafar Panahi una cifra stilistica che privilegia la situazione assurda come mezzo per spiegare la realtà. In fin dei conti è accaduto anche nella sua penultima fatica, firmata per questioni di restrizioni della libertà dallo sceneggiatore Sayevar, La Testimone-la cui breve nota è contenuta nella sezione Altri film in poche righe– e si ripete con apparente-in superficie- maggiore leggerezza in questo Un Semplice Incidente, premiato con la Palma d’Oro a Cannes 2025. È come se questo grande autore iraniano abbia l’obiettivo di parlare di libertà affrontando percorsi che possano risultare da un lato semplici per lo spettatore e dall’altro di assoluta profondità. Sfruttare quindi il grottesco per scoperchiare gli incubi che gli iraniani vivono sulla loro pelle da quando si è instaurato il regime. Un Semplice Incidente ne è una magistrale testimonianza. E pur avendo il limite di un prefinale fin troppo esplicito il bersaglio viene colto in pieno.
Saper graffiare facendo sorridere…amaramente
La Forza del film è nel saper graffiare facendo sorridere. Perché da un piccolo episodio-ormai tradizione dell’intera cinematografia persiana, pardon iraniana- Panahi riesce a costruire una commedia dell’assurdo-c’è anche una citazione omaggio del mio amatissimo Samuel Beckett- in cui ritroviamo presunte vittime e un presunto colpevole tutti assieme appassionatamente pronti per esprimere i loro punti di vista individuali. Il filo rosso che li lega è l’orrore del regime e se non sapessimo che ci troviamo a Teheran potremmo comodamente essere coinvolti in situazioni alla Blake Edwards o, per i più giovani, alla Martin McDonagh. Solo che qui il gioco è scoperto; ogni spettatore sa che Panahi parla di una tragedia, ponendosi e ponendoci una domanda precisa: come ci comporteremmo nel caso in cui l’aguzzino che ci ha rovinato l’esistenza, imprigionandoci e torturandoci sia a portata della nostra vendetta? Tutto il film è sostenuto da questo punto interrogativo e mentre si sorride si viene assaliti dal dubbio eterno di come condannare o di come perdonare, mettiamo impartendo una lezione. Panahi tratteggia una linea sottilissima tra vittime e colpevole. Gioca anche all’inganno per tenere teso e secco il film fin quasi alla sua conclusione.
La disperazione che incontra il proprio fantasma
Un fantasma si aggira nell’esistenza di un uomo qualunque, un semplice artigiano. È l’uomo che lo ha torturato in passato, privandolo dei sogni, rendendolo prigioniero. Un uomo che guarda caso si palesa nella sua officina camminando e facendo risuonare il suono inconfondibile di una protesi alla gamba sinistra. Da qui nasce la vicenda che coinvolgerà altri strampalati personaggi, vittime pure loro della crudeltà di quell’individuo. Ma non sarà un abbaglio, uno scambio di persona? Panahi gioca con i dubbi dei suoi protagonisti e ci riesce magnificamente fino appunto al prefinale che è la parte meno riuscita forse perché è la più urlata ed esplicativa. Ma si riscatta poco dopo: l’epilogo non si dimenticherà in fretta così come ritorneranno i dubbi, questa volta nello spettatore.
Una lezione morale a ritmo sincopato
Come una partitura jazz Un Semplice Incidente procede a ritmo sincopato. Avrebbe potuto essere un trattato di etica e in fin dei conti lo è ma Panahi lo traveste, scacciando pesantezze, lungaggini, appesantimenti. Si affida un cast eterogeneo con un manipolo di attori il cui carattere viene sottolineato in modo preciso ma mai banale. Un Semplice Incidente, film quasi on the road-specialità della casa basti pensare a Taxi Teheran(Su quel taxi la libertà non sarà mai un fantasma) si discosta da altre produzioni iraniane proprio per via della sua apparente leggerezza. Ma è coeso a tutti gli altri film di quella nazione-nell’ultimo anno ne ho recensiti quattro- nel fotografare una situazione che sembra sempre meno sostenibile. Non è una questione politica. Ma di libertà.