Sono arrivato alla << serialità >> in ritardo rispetto alla massa, non per una questione << snobistica >>, ma per un problema materiale: la mancanza di tempo nel seguire in tv la sequenza di puntate e le relative evoluzioni delle storie. Ma sulla potenzialità delle << serie>> a casa mia non ha mai piovuto. Non poteva essere altrimenti, essendo io parte integrante di quella generazione cresciuta col bianco-nero e le trasposizioni dei grandi classici russi, italiani e va dicendo che da noi assunsero il nome, parecchio crudo, quasi didattico, di teleromanzi. È lo streaming che mi ha riavvicinato a quel mondo; è questo monitor che posso sfiorare con le dita quando scrivo che mi ha fornito l’isolamento necessario e la libertà mentale di abbandonarmi senza distrazioni nelle varie storie che le piattaforme propongono. Streaming non è soltanto la fluttuazione di contenuti via internet. È un solipsismo positivo: c’è un mondo, quello dello streaming, che sembra fatto apposta per il singolo. Potrebbe sembrare una contraddizione in termini: un contenuto inviato su scala planetaria, a miliardi di persone, che diventa, non sai come, rivolto solo a te stesso, alla tua concentrazione, alla tua passione di analisi, immagine dopo immagine, scena dopo scena, visto che si parla di << serialità>> o comunque di opere visive. È di tutti, però hai l’impressione che sia solo tuo. Come un bel libro. Come un bel film. Il mezzo quindi si trasforma: se coglie il contenuto e te lo offre, diventa quasi un terminale fisico della tua personalità. La serialità del contemporaneo l’ho scoperta dunque molto tardi, quando ho trovato la piattaforma che faceva per me. Sulla forza delle << serie >> non ho mai avuto alcuna preclusione. Era il vettore che non mi andava: l’elettrodomestico chiamato tv. Ormai guardo tutto sul mio IMac. La << serie >> dilata. Migliora romanzi, può rischiare di produrre libri per immagini che ti ipnotizzano, sperimenta nuovi modi di ripresa. La << serie>>, come la intendo io, ha addirittura maggiori potenzialità del cinema. Lynch lo aveva capito prima di altri. Persino il suo ultimo film per la sala, Inland Empire, sarebbe stato perfetto per lo streaming. Un mesetto fa, è arrivato su Amazon, Too Old to Die Young (abbreviato in TOTDY)di Nicolas Winding Refn(NWR) e il mio solipsismo scopico si è trasformato in un male che nessuno riuscirà più a curare; è l’approdo definitivo, è quella malattia che ricercavi con tutte le tue forze per sancire che da questa opera omnia dell’autore danese trapiantato negli Usa(non c’è solo Drive nel suo passato) non è possibile trascendere. Può piacere oppure no-e sono in molti che non ne hanno colto l’importanza- ma ha ragione, pur con un bricciolo di superbia, NWR a sostenere che da TOTDY si parte: per un’evoluzione ulteriore dei contenuti che verranno offerti in un domani molto prossimo e per la loro fattura.
Los Angeles è un lungo serpente di automobili viste dalla collina di Hollywood ma è soprattutto un deserto metropolitano abitato da nervose solitudini, consce dell’abisso nelle quali sono calate. Tutto nelle 13 ore spalmate in 10 puntate si svolge nell’universo tipico di NWR. Era così nella trilogia di Pusher. Il singolo è alle prese con il proprio passato e paga il tributo pesantissimo ai propri errori. Per ritrovarsi sempre solo, sempre ricattabile, sempre in apnea esistenziale, sempre senza possibilità di salvezza, come il personaggio di Milo in Pusher 3. L’unico mezzo per sopravvivere è la violenza intesa come scelta definitiva per assicurare una naturale spartizione di responsabilità; l’unica forma di consapevolezza << etica >> è accettare la morte come tributo al nulla esistenziale che pervade il mondo nuovo. Tutti tradiscono e tutti sono traditi. Fin dall’infanzia ognuno degli immensi protagonisti di TOTDY (Miles Teller, John Hawkes,Jena Malone, Augusto Aguilera, Cristina Rodlo, William Baldwin, Nell Tiger Free più una serie di attori, come Babs Olusanmokun o Hart Bochner superlativi) sono rimasti << orfani >>: non importa se le madri siano state uccise o si siano suicidate o siano fuggite, che i padri siano assenti o abbiano pruriti incestuosi. È’un mondo zozzo formato da condannati a prescindere, da gente che abusa degli altri, moralmente, sessualmente e che non avverte il senso della colpa, il peso del peccato. Los Angeles è un affresco notturno cupo. L’unica luce è in Messico , dove brilla ogni cosa, persino la morte, persino il sangue che luccica e le guerre tra narcos sono come partite di calcio dove il vecchio boss cerca di ricordare un passato lontano, quando Pelé toccava la palla e si restava ammaliati dai suoi colpi. Là in Messico c’è il senso della famiglia shakespeariano , c’è ancora la rappresentazione classica del gioco del potere, il piacere della vendetta, il dolore del non riconoscimento. Il Messico che parla di morte e offre allo spettatore morte, pulsa di vera vita. Nell’universo losangelino invece tutto è sporco, corrotto, mischiato. Nessun buono, nessun cattivo. Continui scambi di parte. Trasversalità del male. TOTDY è un superbo affresco degli ultimi giorni dell’umanità.
Eppure-e mi rivolgo a chi ancora non lo ha visto- è quanto di più ironico, divertente si possa trovare. Perché NWR sa anche non prendersi sul serio: amplifica i contrasti, crea situazioni dove prende in giro i propri personaggi e così facendo deride il mondo in cui vivono, lo fa a fette, sfruttando tutto ciò che è di sua conoscenza, le sue radici culturali. La polizia si vanta di non sapere risolvere i casi; il loro capo inneggia al fascismo e suona col mandolino preghiere sacre; il volto imperscrutabile, immobile, monoespressivo per scelta di Miles Teller osserva il tutto con scetticismo ma consapevole di essere al centro di un’espiazione obbligatoria, di cui sarà prima protagonista attivo e poi vittima. L’arte, simboleggiata dai quadri della splendida residenza di un eccellente William Baldwin, è il bello che cela i buchi neri, il gorgo; non ha più alcun significato salvifico, è ricordo, paravento di depressioni-ossessioni. La produzione di morte è spontanea, naturale. Atto fisico di eccitazione, ballardiano, oltre Crash, vicinissimo a una rilettura de La Mostra delle Atrocità. Perché è da quel romanzo che Nicolas Winding Refn, forse inconsapevolmente, pare voler partire. Con la differenza che se in Ballard esisteva la possibilità di arrivare a un mondo del genere, in Too Old TO Die Young il disastro si è già compiuto e non si può tornare indietro.
C’È in NWR l’ansia di sfruttare il mezzo, ovvero il cinema, per mostrare immagini che abbiano e creino significati. Non buttate là a caso. Sono lunghissime, piani sequenza che sembrano non concludersi mai, pervasi dal silenzio ma calamite per gli occhi di chi si lascia trasportare nel mondo malato di NWR. Dove il personaggio sembra sempre attraversare un luogo che appartiene ai morti, brandelli dell’umanità contemporanea, in cui lo sfondo è composto da persone in penombra, ognuna ripresa a svolgere un semplice gesto, un movimento di una mano, di un piede, o perfettamente immobile in una posa, soprattutto le donne dove si insiste sull’angolazione delle loro gambe. Questa ossessione fa di TOTDY un’operazione estetica definitiva, ipnotica, che ha pochi paragoni in fatto di bellezza formale, di raffinatezza, di precisione. E che ha anche una spiegazione tecnica. L’accusa di eccessiva lunghezza delle scene preparatorie mossa a NWR non contempla il fatto che siamo su una piattaforma, in streaming. Che ogni immagine può essere estrapolata dal proprio contesto narrativo, inviata via telefono. Quindi deve avere un inizio e una fine, essere un microfilm, possedere una scansione temporale autonona nella quale spesso la musica ha un impatto fondamentale. La colonna sonora-credo ci sia una selezione su Spotify– è una summa di rock, hit parade anni 70 e 80, jazz e classica con la C maiuscola. La scena clou della puntata 5 ne mostra la portata più appariscente e non è casuale che sia già entrata di diritto nella storia della cinematografia contemporanea: un inseguimento tra una vecchia <<stock block>> americana e una nuova elettrica giapponese è cadenzato dalle note di Mandy di Barry Manilow. I duellanti in piena lotta di sopravvivenza iniziano a penetrare la notte che incombe;procedono con le vetture attaccate l’una all’altra. Nel momento in cui Mandy fa capolino nell’abitacolo degli inseguitori la scena entra in un’altra dimensione, in una tregua onirica sottolineata dapprima dai volti che si distendono dei protagonisti e poi dai ralenty e dall’apparente pace che circonda le due autovetture. In attesa di una nuova alba. È solo un esempio dell’intuito e della grazia dell’autore di questo lunghissimo film trasportato da internet, in cui ogni puntata ci offre una storia che dura anche un’ora e mezza. Ognuna di queste meriterebbe una recensione a se stante.
NWR è un furbacchione matricolato, conosce alla perfezione i meccanismi del cinema. Riesce richiamare una serie infinita di film importanti per il modo di ripresa e a stimolare il parallelismo che lo spettatore è in grado di intuire: l’episodio messicano della puntata 2 è un chiaro omaggio a Sergio Leone e a Sam Peckinpah ma la scena memorabile è quella che si svolge alla stazione di polizia, radicalmente fassbinderiana in cui nel sottofondo si avvertono le note della 5. di Mahler che si tramutano nel Va Pensiero di Verdi. Echi di Rainer Werner Fassbinder si avvertono ovunque: soprattutto con il suo Un Anno Con Tredici Lune, sia per il dolore dell’abbandono alla base delle scelte esistenziali dei protagonisti, sia per la scena del mattatoio, qui rifatta con molta delicatezza con ….esseri umani( e di questo NWR ne diede un assaggio in Pusher 3) così come l’arredamento della villa dei due giovani vendicatori messicani sembra essere preso a nolo da quella di Scarface di Brian De Palma. E poi non mancano l’ironia alla Tarantino, le situazioni assurde dei Cohen, i chiari riferimenti ai genitori di tutti i film a puntate, Twin Peaks, la crudeltà di visione tipica di chi pur vivendo negli Usa dalla Danimarca si è portato appresso l’ossessione luterana della giustizia che esplode raffigurata nel personaggio di Yaritza, dea si della vendetta pubblica ma anche di quella privata, per la risoluzione della complessa dinamica edipica di cui il giovane marito Jesus è afflitto. Ogni personaggio di TOTDY fa i conti con un incesto subìto. Non importa se sia stato materiale o solo immaginato. Ognuno è generato dalla violenza, dalla prevaricazione che può derivare da un fascino artificiale, da impulsi sessuali, dal gusto del dominio. Un baratro shakespeariano nel quale manca il fool. Il << matto >>, la figura che rappresenta il terzo occhio si è trasformato anch’egli in un creatore di violenza e soppressione, l’unica scelta possibile in un mondo allo sbando, annebbiato dalla cocaina, inalata nel dopo scuola tra un bicchiere d’acqua minerale e un altro, simulacro per calmare gli appetiti sessuali.
LA BELLEZZA formale di TOTDY è di difficile descrizione. Credo che lo spettatore medio(io) possa solo esprimere lo stupore, ammettere di esserne rimasto ipnotizzato. Ma anche il contenuto non è da meno né il suo svolgimento. Gli angeli della vendetta probabilmente riporteranno il tutto al naturale ordine delle cose, aprendo le porte a un altro non luogo, a un’idea di apparente normalità. Non ci è dato da sapere se sarà così: il mondo di Nicolas Winding Refn di definitivo ha solo ciò che sta dietro ad ognuno di noi. I drammi che non si possono ricordare, le brutture da dimenticare, la disperazione da camuffare. Il film parla per allegorie, John Hawkes, cita Copernico-la prima perdita di certezza dell’uomo che scoprì di non essere al centro del sistema solare ma di girarci attorno- Freud per arrivare a Jung, alla teoria dell’incoscio collettivo. Un peccato ancestrale accomuna tutti quanti. Too Old To Die Young ce lo mostra. E in barba a quei recensori che hanno usato parole forti e volgari per stroncarlo-non si può piacere a tutti ed è meglio così- credo che la sua importanza vada al di là di qualsiasi commento critico. È una gioia per gli occhi, per il cuore, per la mente. È un viaggio che vorremmo proseguire in eterno. Anche se ci mostra il male, la sua strepitosa normalità. La sua accettazione.