Tom Ford tra Wong Kar-Wai Fassbinder e…Sirk

a-single-man.jpgNON deve stupire il paragone con il quale salutiamo il debutto alla regia dello stilista Tom Ford. Lo spettatore attento di A single man, finalmente arrivato nelle sale dopo il successo veneziano, se ne accorge, va subito in automatico senza rifletterci un secondo alla cinematografia dell’autore cinese di Hong Kong. Dove è che ha già visto lo stesso modo di riprendere in ralenty camminate, saluti, volti, ambienti, passeggiate in automobile? Dove è che ha già notato la precisione dei particolari, un occhio sul quale una matita disegna un rigo di trucco, la cura del vestiario dei protagonisti, dell’ambientazione d’epoca o udito l’accompagnamento musicale delle varie scene? Ma certo in quelle due magnifiche riletture del melodramma che sono In the mood for love e il suo seguito 2046. Non a caso tra gli autori delle musiche di A single man appare Shigeru Umebayashi, vale a dire il compositore di In the mood for love. Ma non è solo la musica a mettere in relazione il protagonista dell’esordio più sorprendente dell’anno con colui che ormai può essere definito a tutti gli effetti uno dei moderni maestri del cinema.C’è appunto il melodramma scelto da Tom Ford per il debutto e una trama per nulla scontata, per niente facile come la rilettura del romanzo di Christopher Isherwood pubblicato in Italia da Adelphi. Al paragone con Fassbinder arriveremo dopo. IL PROFESSORE George Falconer non ha elaborato il lutto per la morte del suo amore Jim. Si sveglia una mattina dopo un’ennesima notte di incubi. Compie i suoi soliti gesti abitudinari ma si veste, si prepara ad andare al lavoro con un atteggiamento diverso: ha deciso che sarà il suo ultimo giorno di vita. E’più gentile e disponibile con chi lo circonda: bacia la cameriera, saluta i vicini, per la prima volta parla come avrebbe voluto ai propri studenti, spiegando il concetto di diversità. George Falconer vive in una Los Angeles terrorizzata dalla crisi americana con Cuba, guarda questo mondo alle prese con le proprie paure, continua ad andare a ritroso nella propria memoria, sentendo pesante come un macigno l’assenza dell’uomo che ha amato. E’ la scansione del tempo che Falconer non riesce più a gestire. Perché la perdita lo ha privato del futuro e il passato non può che tornare se non attraverso l’ultimo gesto, quello definitivo. Due sono le persone che lo legano all’oggi:Charley, la vedova con la quale è andato a letto in gioventù e un suo studente, Kenny, nel quale rivede qualcosa di sé, la capacità di porsi domande, di ricercare, di interrogarsi, di mettersi alla prova. Nel suo ultimo giorno George Falconer farà di tutto pur di salutare la vita a suo modo. Abbraccerà un cagnolino identico ai due che divideva con Jim, cercherà di spararsi in bocca in tutti i modi possibili, finirà a casa di Charley e alla fine tornerà nel locale dove aveva conosciuto Jim. E in questa ricerca disperata di un passato che possa confermare il senso della propria morte incontrerà Kenny e il gusto ritrovato della vita. Per un breve interludio, però.AMORE, VITA, MORTE e poi ancora vita e morte per ricongiungersi idealmente a Jim: A single man, dove Colin Firth offre una prova d’attore da incorniciare e restare nella memoria – meritatissima la Coppa Volpi alla Biennale di Venezia- , avrebbe potuto correre il rischio di diventare in poco tempo un film di forma, dal contenuto scontato. La bravura di Tom Ford è quella di dedicarsi oltre allo stile anche a ciò che pulsa nella storia. Così il melodramma se ne sta alla larga dal fotoromanzo, dalla lacrima facile, si trasforma in quei melò alla Douglas Sirk che tanto piacevano a Rainer Werner Fassbinder. E qui entriamo nel capitolo che riguarda la sensibilità del regista tedesco alla quale accomuno quella di Tom Ford.UN ANNO CON TREDICI LUNE è il miglior film di Fassbinder, al di là di quello che sostiene la critica. L’ho rivisto recentemente e se vi capita non perdetelo. Siamo allo stato dell’arte. Fassbinder ci parla di un travestito, operato a Casablanca, e lo segue nei suoi ultimi cinque giorni di vita. A poco a poco scopriamo che la sua scelta non è stata dettata da una tendenza al travestimento. Ma dall’amore per un uomo che ha conosciuto in passato e dal quale si è convinto di essere ricambiato. Quando si accorgerà che non è mai stato così, il travestito si toglierà la vita. E’una conclusione opposta a quella di A single man: Colin Firth-Falconer muore nel momento in cui intravvede la continuità dell’amore. Volker Spengler-Elvira si uccide quando scopre di non essere mai stato amato e quindi di non avere spazio né identità nel mondo. Eppure tra A single man e Un anno con tredici lune c’è la stessa acquisizione psicologica del momento: la serenità delle scelte, l’assoluto dell’amor perduto. In questo Ford e Fassbinder dipingono, secondo le rispettive sensibilità ed esperienze, la fine con identico controllo, facendo un passo indietro rispetto alle potenzialità da lacrima facile che le sceneggiature potrebbero offrire. A SINGLE MAN è un ottimo film con poche falle, pochissimi cedimenti. Colin Firth è un Falconer perfetto: ha classe, phisique du role, è nella parte dal primo all’ultimo minuto. Stessa cosa per Julianne Moore già abituata a confrontarsi con tematiche del genere, basti pensare alla sua presenza in Lontano dal paradiso di Todd Haynes, grande melò stile guarda caso Douglas Sirk. Nell’unica scena nella quale i due recitano assieme danno prova di grande abilità. Ma allo stesso tempo è proprio questa la scena meno incorniciata del film, l’unica che avrebbe potuto essere scritta in altro modo. E’ un piccolo neo di un grande esordio.

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