Tom Ford è già maestro dei piani temporali ma dai suoi Animali Notturni vorremmo più cattiveria

TOM FORD ha voglia di stupire: corpi femminili debordanti,grassi,flaccidi, danzano nudi di fronte all’obiettivo per poi finire all’interno di una mostra d’arte. Freaks da esporre quasi a prendere a schiaffi la vacuità di quell’ambiente;a tramortirlo. È il segnale forte, allarmante, che il regista texano passato dalla moda lancia agli spettatori del suo secondo film Animali Notturni, Leone d’Argento Gran Premio della Giuria alla Mostra di Venezia 2016. Perchè quell’incipit così forte pur nella sua eleganza formale, crea subito una scossa e proietta Ford in un’operazione cinematografica complessa, in cui deve mettere assieme la relazione tra la parola scritta e quella del cinema, cercando di andare oltre all’immagine raffinata che ne contraddistingue la direzione.

Ci riesce soprattutto nella prima parte, meno nella seconda, ma alla fine viene quasi da pensare che più che uno stilista prestato al cinema, Tom Ford sia un regista che nel proprio passato prossimo abbia per diletto professato la passione per moda e stile. In ogni caso siamo in presenza di un’artista in possesso di una dote innata, istintiva già messa in mostra nel suo precedente film, A Single Man: essere uno straordinario manipolatore e reinterprete del melò classico, del quale si è probabilmente cibato in gioventù, che conosce a menadito e di cui modifica le regole, portandole al passo con i tempi.

Avere successo con Animali Notturni non era semplice: c’era un romanzo alla base, Tony&Susan di Austin Wright da cui ricavare una sceneggiatura credibile pur nella complessità strutturale dell’originale letterario,un romanzo che lambisce la metaletteratura. Se il cinema è forma letteraria contemporanea, Ford è sulla buona strada per diventare un buon romanziere. Il libro è abbastanza semplice: una donna riceve dall’ex marito un manoscritto. È un racconto in cui una famiglia viene assalita da tre balordi con le conseguenze del caso. Leggendolo Susan ne resta ipnotizzata e soggiogata dal terrore che le procura.E inizia, nelle pause dalla lettura, a tornare indietro nel tempo e a interrogarsi sui propri errori. Trasportare il tutto al cinema era una sfida. Per prima cosa Ford modifica l’ambiente nel quale Susan si muove: la donna non è più un’insegnante ma una gallerista d’arte contemporanea, alle prese con il rischio della bancarotta finanziaria. È personaggio influente, inserito che vive con il nuovo marito in una splendida villla, attorniata da un segretario, da preziosi oggetti di design e opere d’arte.È considerata una regina del proprio mondo, probabilmente vacuo, fatto di nulla travestito da tutto. È chiaro il rimando sociale a ciò che il regista conosce come le proprie tasche.

IN SECONDO LUOGO Tom Ford per rafforzare l’impianto scenico gioca con i generi, creando una felice commistione nella quale raffinatezza e capacità di creare immagine si tramutano in oggettiva fascinazione scopica anche laddove lo scontato e il nulla da dire-del romanzo- potrebbero dominare la scena. Sono queste infatti le armi migliori di Animali Notturni. L’autore texano gira con sapienza la ruota dei piani temporali. Non sono soltanto due ma quattro. C’è il presente della donna che legge, c’è il romanzo che si trasforma in un film nel film, c’è il flash back della vita privata dela coppia e ci sono gli scampoli del quotidiano di Susan, ovvero un continuo rimando ai suoi dubbi, alle perplessità circa un’esistenza da analizzare e ricomporre, da rimettere in sesto dietro l’apparente freddezza e superiorità.

LA BELLEZZA del film sta nell’assoluta armonia con la quale il regista riesce a legare tutto questo con la capacità di rendere credibile anche ciò che sulle prime non parrebbe. Così il thriller della pagina diventa un vero e proprio noir cinematografico, infarcito di stereotipi e di esagerazioni che servono a Ford per far comprendere in modo chiaro e diretto che lo spettatore sta assistendo a qualcosa che non c’è, che non fa parte dell’esistenza ma è frutto di una mente che ha tradotto i propri pensieri nell’azione romanzesca. È la parte migliore di Animali Notturni, quella che serve a legare e a dare un senso allo sguardo perso nel vuoto di Amy Adams, sofferta interprete del personaggio Susan. Una donna che nel romanzo intuisce i segni e la sofferenza di ciò che lei stessa ha procurato all’ex marito attraverso l’egoismo e l’aura superiore di chi cercando di coprire le proprie fragilità non aveva accettato quelle degli altri.

TOM FORD è vincente anche nel disegnare la figura della propria eroina sconfitta: Susan è essa stessa un animale notturno. Ford le dona una doppia dimensione. Tutto ciò che è giorno nel film si tramuta in un gioco di luci che rimandano quasi all’irreale, al sogno, a qualcosa che non c’è. Ben più duro, vero, concreto è il mondo della notte che circonda Susan come se solo nel silenzio quasi minaccioso della villa e degli arredi, la donna riuscisse a cogliere l’essenza delle cose e di se stessa. Andrà incontro alla beffa conclusiva, subendo una sottile arma di vendetta che comunque non risolverà il film, lasciando in sospeso il gioco delle maschere probabilmente pronte a riprendere la loro funzione, celando il vuoto esistenziale come è sempre stato in quella finzione che si chiama vita.

ANIMALI NOTTURNI non è perfetto. Come accennato la prima parte è migliore della seconda, dove la tensione cala e il gioco esce allo scoperto in modo fin troppo scontato. Il problema non riguarda tanto Ford regista quanto Ford autore di cinema. Manca infatti nel film il coraggio di andare oltre, di riscrivere e di spezzare un gioco che alla lunga stanca e non è più in grado di sorprendere. Nel momento in cui si conclude la ” lettura ” Animali Notturni si trascina verso la fine in modo scontato, senza quei graffi, quegli strappi e quella capacità di stupire che ne avevano caratterizzato l’inizio. Sfocia nella maniera, un rischio che Ford corre e correrà anche in futuro anche non volendo, perché è nella sua natura la straordinaria capacità di messa in scena. Manca nel film il colpo al cuore, un segno riconoscibile di condanna o di assoluzione da parte del regista della propria eroina. Il dramma nel quale si dibatte Amy Adams rimane legato al rimorso e ai rimpianti. Non riesce Ford a rafforzare il peso della vendetta, a rendere l’allucinazione del giorno uno stato conclusivo e definitivo e non basta l’ultima scena in pieno stile Hopper a rendere il tutto incisivo. Ma il film ha in ogni caso molti punti d’interesse e per questo non va perduto. Gli interpreti, dalla già citata Amy Adams al sempre più bravo Jake Gyllenhaal fino a Aaron Taylor-Johnson e Michael Shannon, sono credibili e intensi. L’estetica è una gioia per gli occhi, le musiche, di Abel Korzeniowski seguono i piani temporali ammiccando a volte a Aknaten di Philip Glass e altre ai grandi classici del melò, con uno stile che rimane sempre personale. Sono altri pregi di un film in ogni caso non banale e ben poco ordinario. Inserire Tom Ford in definizioni e paragoni è abbastanza complesso. Di sicuro è autore che ha coraggio e che ha già una propria cifra matura, pur essendo solo agli inizi della carriera cinematografica. Per questo va seguito e ammirato. Gli amanti di Douglas Sirk, come me, lo aspettano alla prossima prova.

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