Freaks: benedetto sia il cinema maledetto

FREAKS non si può recensire: lo hanno già fatto gli studiosi di cinema di tutto il mondo; lo ha già fatto la storia che, beffarda come è, è riuscita a preservare un capolavoro che rischiò di interrompere bruscamente la carriera di Tod Browning e che fu uno dei flop più clamorosi al botteghino della MGM. Piuttosto queste righe sono un invito a non perdere la versione restaurata dalla cineteca di Bologna che ha recuperato parecchie scene assenti dai nostri impolverati videotape o dai dvd e che in questi giorni circola in alcune sale selezionate. Perché Freaks è una delle basi del cinema moderno anche se è datato 1931. In esso si ritrovano temi ripresi in molti film della nostra contemporaneità e persino da alcune serie televisive. Fu un film rivoluzionario, fuori dagli schemi, fuori soprattutto dall’immaginazione. Un film destinato a colpire frontalmente le persone ma allo stesso tempo a fare accettare la mostruosità estetica come puro fatto normale. Perchè il segreto di Freaks sta tutta nella capacità di Browning di presentare l’osceno percepito senza compiacimenti, restando fedele a una grammatica cinematografica che al posto dell’eccesso usa la sottrazione, cosciente di avere messo in scena una parabola visiva dirompente e in potenza tracimante. È il tatto, è la grazia, è il rispetto che Tod Browning usa a lasciare ancora oggi a labbra spalancate. I suoi attori ” mostruosi “, sorelle siamesi, nani, microcefali, ermafroditi, tetramelici, donne barbute, vengono recepiti con assoluta serenità. Browning infatti si concentra sulle espressioni, sugli sguardi, su come lavora il loro cervello, sui sentimenti, sulle riflessioni, sul loro legame con la vita, con la loro sete di giustizia,le loro debolezze. Non li sfrutta scenicamente: li fa vivere. Su una condizione tragica di deformità fisica-individui usati per l’effetto sorpresa dei circhi di allora- costruisce un film sul concetto stesso di mostruosità dell’uomo e della società. Il film è maledetto non per ciò che viene proiettato ma per tutto quello che va oltre l’immagine stessa che scorre sullo schermo.

BROWNING e il suo sceneggiatore Clarence Robbins mettono a confronto entità che vivono sotto lo stesso tetto: il circo è il contenitore di convivenza dei ” normali ” e dei ” mostri “. Al posto degli animali il circo di Freaks è popolato dalla deformazione che è vigile,attenta,perspicace, organizzata. Pronta a una vendetta ancora più crudele, senza pietà, nei cofronti di chi come la bella trapezista e il suo scagnozzo hanno messo in piedi un matrimonio di malaffare con un nano per rubargli l’eredità e sopprimerlo. È questa non accettazione del sopruso che è resa evidente fin dalle prime scene che permette a regista e sceneggiatore, che aveva scritto il racconto dal quale il film è tratto, di smorzare con immediatezza qualsiasi pruderia, di trascinare chi osserva dalla parte degli ” altri ” con grande spontaneità. Non c’è in tutto il film una scena lacrimevole, un appesantimento morboso. Non è un’opera sui mostri. I freaks di Browning sono piuttosto il doppio dell’umano. La parte nascosta, quella che subisce, quella che è sconfitta in partenza, che non ha voce, non ha diritto, non ha potere ma che di fronte all’ingiustizia e al sopruso si aggrega e si ribella. Usando la legge non scritta dell’atrocità impietosa, per ridurre alla fine l’uomo alla stessa e indentica condizione di mostro, annullando qualsiasi tipo di divisione. Il film quindi si trasforma in un apologo sullo sfruttamento e sulla labilità del male che può prendere improvvise direzioni con una differenza profonda: il male dei ” normali ” è condizione di natura. Quello degli altri la conseguenza del primo: azione-reazione.

TOD BROWNING con la sua narrazione precisa e distante, lieve ma secca, con Freaks mette in scena vizi e virtù di un’intera umanità. La pulsione erotica,evidente, è il mezzo con il quale Olga Baclanova, la trapezista, seduce Harry Earles, il nano Hans; nel suo ruolo quella che era stata un’attrice importante nell’epoca di passaggio tra muto e sonoro concentra l’avidità, l’accidia, la superbia del proprio essere bella e desiderabile. Lo straordinario del film è l’innocenza bandita e l’assenza di ingenuità da parte di chiunque. Capisce tutto in anticipo, per esempio, Daisy Earles, la nana Frida che nella vita reale era la sorella di chi interpreta Hans, mentre lo scombinato circo dei freaks mostra sempre il fardello di una convinvenza imposta, portandosi appresso il peso di una prigionia e una contemporanea ansia di liberazione. Il tutto ripreso come se si trattasse di un noir, dove non mancano gli accenni ironici, le battute scherzose, per far si che nulla possa risultare indigesto. A distanza di 85 anni dalla sua uscita, dai vari tagli, dalle censure quasi universali subìte, Freaks continua a mantenere la propria freschezza d’origine. Ha ritmo, è dinamico, mai spigoloso. Una benedizione…per chi ama il cinema. Peccato si sia compreso in ritardo.

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