Per la serie le beffe del destino molti delle nuove generazioni hanno conosciuto Charlton Heston come quell’anziano e impacciato presidente dell’ American Rifle Association che cercava di difendersi dalle domande dell’incalzante Michael Moore in << Bowling at Colombine >>. Proprio lui che nella carriera era stato l’icona di un certo tipo di eroe, quello epico legato al passato remoto e alle leggende, diventava quasi lo zimbello di un documentarista grasso e petulante, bravissimo e sgradevole allo stesso tempo. E’stata quella l’unica recita fuori ruolo da parte di Heston nel corso di una filmografia lunghissima nella quale ha impersonato i generi , spingendosi raramente ad affrontare parti diverse. Bello, imponente, con l’espressione severa e a tratti impassibile, sempre pronto per accorrere in difesa dei deboli e per lottare a favore della giusta causa, Heston è stato un grande attore al quale è mancata l’occasione di diventare altro, di seguire le orme di alcuni coevi. Che fosse un grandissimo interprete lo ha dimostrato: pur muovendosi tra le sbarre di soggetti imposti non ha mai rischiato di trasformarsi nell’icona di sé stesso. Ma gli è mancato il coraggio di andare oltre, di affrontare quel cinema Usa semi indipendente – cito l’esempio di John Cassavetes – che cercava un altro linguaggio e un altro modo di mostrare la vita. Non sapremo mai come Charlton Heston avrebbe recitato personaggi contemporanei, anonimi. Le potenzialità c’erano: senza di lui << L’infernale Quinlan >> di Orson Welles non sarebbe mai venuto alla luce così come << Sierra Charriba >> di Sam Peckinpah. E’per questo che quando è morto mi è venuto in mente << Bowling at Colombine >>, visto come uno scherzo, una beffa per chi da sempre appariva imprigionato in uno schema non voluto ma subìto.