<< UN GIORNO DEVI ANDARE >> è un film sostanzialmente diverso da quelli che Giorgio Diritti ci ha proposto fino ad ora. Più complesso, meno intellegibile ma non per questo meno affascinante. Siamo sempre in presenza di un’opera di un grande autore che forse ha sentito la necessità individuale di spingersi oltre le tematiche che hanno caratterizzato i precedenti << Il vento fa il suo giro >> e << L’uomo che verrà >>. Esistono punti di contatto tra quelli e il suo ultimo film ma servono soprattutto per delimitare un ambito fisico, per consentire l’evoluzione del discorso, per creare attorno alla storia una sorta di fil rouge nel quale lo spettatore possa trovare affinità con ciò che Diritti aveva illustrato e spiegato mirabilmente in quei due capolavori, uno dei quali, << Il vento fa il suo giro >>, giunto al plebiscito di pubblico e critica in modo spontaneo e senza alcun aiuto da parte delle famigerate cricche e lobbies che purtroppo infestano il mondo del cinema come tutto il resto che sa di italiano. Solo che << Un giorno devi andare >> sembra quasi un tentativo di andare oltre, di varcare ciò che è stato fatto, di proiettarsi con identico rigore e ampia libertà espressiva in un territorio inatteso, molto privato, intimo, riflessivo, autorale nel senso migliore del termine, senza presunzione, con umiltà. Perché questa è la storia di una domanda esistenziale. L’andare per ritrovare il senso della vita o per fuggire dalla vita stessa?
E’IL TRAVAGLIO di Augusta che ha perso il figlio che attendeva, ha visto il marito rifiutarla e si ritrova laggiù, dall’altra parte del globo, in Brasile, a solcare le onde del rio delle Amazzoni assieme a una missionaria a bordo di un barcone che guarda caso si chiama Itinerante. Con un silenzio rumoroso che la devasta, con gli sguardi indagatori a ricercare quasi un’idea di trascendenza, a misurare il senso dello stare al mondo. E’il cammino di Augusta in un altrove che seguiamo. E scopriamo quasi subito che il suo << dover andare >>non è una scelta. E’un tentativo. E’il fare per trovare risposte, è l’ansia del comprendere il perché siamo, è il volersi dare nell’offrire per trovare giustificazione anche al nostro essere nel mondo. Sono le domande degli umani, quelle alle quali gli artisti, in quanto umani essi stessi, si avvicinano e le ripropongono, lasciando tutto in sospeso come accade anche qui. Di certo Augusta è una donna giovane e coraggiosa. Sono i suoi dubbi che le donano la forza, sono i suoi timori a darle il coraggio di prendere in mano le situazioni. Di abbandonare il mondo degli indios da convertire e accudire e finire in una favela di Manaus per organizzare i lavori di quella gente, per aiutarla a sbarcare il lunario. Ritornando però, proprio alla fine del film, al punto di partenza, sola con sé stessa a chiedersi, domandarsi senza che la parvenza consolatoria dell’happy end ci dica realmente cosa sarà domani, quali certezze, se non il sorriso di un bimbo – ogni riferimento a << L’uomo che verrà >> non è puramente casuale- sia riuscita per davvero a conquistare. Forse la speranza. Di un mondo che si scambia sorrisi, che si confronta, che agisce all’unisono per creare un grande cerchio del bene. << Un giorno devi andare >> è anche un film sulla fratellanza, altro tema sul quale Giorgio Diritti batte sempre attraverso le percussioni della propria raffinatissima cinematografia.
NON E’FILM SEMPLICE: il fatto che procuri divisioni tra favorevoli e contrari lo dimostra. Non si tratta di ciò che si vede; ma di ciò che si prova seguendolo. Di come lo si assume e digerisce. Affascina ed è naturale che accada. Tra i meriti di Giorgio Diritti in << Un giorno devi andare >> c’è il meraviglioso senso documentaristico di fissare la realtà della favelas brasiliane con precisione quasi giornalistica- da grande inviato- , informativa e analitica. Favela che per chi conosce il Brasile non rappresenta soltanto il regno dell’emarginazione, della povertà, della disperazione. Ma è un esempio perfetto di organizzazione sociale, di comunità, con le sue regole, con la sua collegialità, con gli sfruttati e gli sfruttatori, con gente che non perde mai la propria dignità perché in grado di lottare con decoro per la sopravvivenza giorno dopo giorno. Con una visione prospettica mai rassegnata. E’ la forza dei diseredati brasiliani, quella messa nelle pagine di carta da Jorge Amado. I valori che non si perdono in quel mondo attaccato ai grattacieli metropolitani, sopportato, utilizzato alla bisogna, buono per far parte di un paesaggio in grado di creare interesse attorno alla miseria, sfruttato ai fini elettorali e lasciato lì. L’autore bolognese arriva a coglierlo con tocchi di grazia, riproponendoci la visione di comunità che a differenza di quella de <<Il vento fa il suo giro >> qui accoglie l’intruso, lo straniero, il personaggio di Augusta e lo elegge a propria eroina, a motivo di forza. La giovane donna diventa all’interno del microcosmo dei baraccati il punto di riferimento ed è da questo che Augusta stessa ritroverà per un certo tempo la leggerezza dell’essere. Ma non per sempre, perché il suo << dover andare >> dipende in continuazione dall’irrisolto interiore. In parallelo le scene vanno e vengono dal Brasile al Trentino: partono dagli sguardi della ragazza per arrivare a quelli della madre la quale a sua volta è l’altra faccia della medaglia: anche lei elabora i suoi lutti, il marito morto, la figlia lontana e silenziosa, l’anziana genitrice che le sembra distante e la comunità di suore missionarie alle quali svela il proprio essere agnostica. Tutto nel film avviene da una parte all’altra. Perdite, dolori, speranze.
NON E’SUPERBO Giorgio Diritti. Non ha la pretesa di fornirci la parola con la p maiuscola. E’forse questo che lascia perplessi alcuni, come se l’indefinito fosse la condicio sine qua non di tutto l’arrovellarsi di Augusta, del suo vagare. Diritti ripropone anche a noi gli stessi punti interrogativi, non si atteggia a professore, a solone, si fa piccolo. Così << Un giorno devi andare >> diventa uno di quei film attorno al quale possiamo girare e rigirare. Forse ha un limite nell’eccessiva ripetitività di alcune scene che sembrano appesantirlo ma che, allo stesso modo, potrebbero consentire all’occhio di perdersi nell’infinito amazzonico, ripreso in modo magistrale, proprio per permettere di elaborare nella mente il subbuglio interiore della sua eroina. Una donna come tante che vuole attraversare un confine perché- e qui riprendo la citazione di Richard Ford fatta nel precedente post sul suo meraviglioso << Canada >>, coincidenza nella coincidenza- vive un passaggio progressivo da un modo di vivere che non funziona a uno che speri che funzioni. Solo che in un << Giorno devi andare >> il radicalismo della scelta avviene senza il ritorno all’infanzia anagrafica, senza l’allegoria e con l’ansia mistica della ricerca della divinità dentro l’individuo. Nell’imporci i dubbi di Augusta è una magnifica Jasmine Trinca, perfetta nella parte. Epidermica, spontanea, trasparente nel proprio irrigidirsi e aprirsi, nel pianto e nel sorriso. E’umana come se non recitasse. Ci aiuta a ragionare su questo film che credo si dovrebbe apprezzare ancora di più in visioni successive. E che potrebbe offrirci altre chiavi di lettura, altri particolari. Perché a volte anche noi che abbiamo la pretesa di giudicare ciò che vediamo ci sentiamo piccoli, impotenti e torniamo a casa con quelle voci frullanti capaci di riempire il nostro silenzio. Lunga vita a questi film e a questo autore.