PER COLORO che appartengono alla mia generazione <<Après Mai>>, volgarmente tradotto in Italia con <<Qualcosa nell’aria>>, è uno dei film che sarebbe gravissimo perdere. Perché parla di noi, dei nostri sogni, dei nostri ideali, delle speranze e dei tradimenti. E lo fa con una delicatezza, con una grazia delle quali Olivier Assayas è maestro, sia per cultura cinematografica, sia perché il suo modo di fare film è del tutto personale, in punta di piedi, senza banalità o sciocche spettacolarizzazioni, raffinato, analitico senza l’ansia di voler salire in cattedra. Questi sono i film da gustare fino in fondo, con il sorriso anche amaro sulle labbra, con corpo e anima che superano le barriere ed entrano oltre lo schermo, nella storia. Proprio per accompagnare i protagonisti come fa Assayas nello spiegare un’epoca e nel realizzare probabilmente il miglior film mai prodotto sul dopo 1968. Il fatto che <<Après Mai>> abbia vinto il premio per la sceneggiatura al festival di Venezia, la migliore rassegna europea dell’anno passato, è solo una ciliegina sulla torta, il giudizio non muterebbe anche se fosse rimasto fuori dalle preferenze della giuria.
SIAMO nel 1971, tre anni dopo il maggio francese. L’ambiente è quello del liceo con gli studenti che sognano la rivoluzione. Quella che ci propone Assayas non è la solita frittata mista cucinata con i luoghi comuni. Sono le piccole cose che interessano l’autore;le piccole lotte quotidiane di un gruppo di ragazzi che hanno ideali. Vivono tra le proprie ambizioni, i primi amori, utilizzano gli slogan proposti da questi e da quelli, personalizzandoli. Sono le storie private che diventano pubbliche nel momento in cui si crea gruppo. Ci si sfoga imbrattando i muri con slogan, ciclostilando pensieri e proteste, immaginando un mondo diverso, cercando in ogni caso di forzare attraverso i propri talenti lo stato delle cose. E’una gioventù colta, che legge, che si informa, che studia. L’antieroe di Olivier Assayas è Gilles, il curioso, a volte stranulato, efficace Clement Metayer: i suoi occhi osservano ciò che scorre attorno e sono quelli del regista. Non è un caso che come Assayas, figlio di un grande sceneggiatore di cinema, anche Gilles sia il pargolo di chi lavora nel produrre e nello scrivere film. Ma il suo ideale è la pittura. Dipinge cercando il proprio stile, non seguendo le mode, in questo si pone subito in contrasto e a volte in contraddizione con la battaglia politica che svolge assieme agli amici. Perché sa che l’arte è individuale. Il suo percorso formativo vive quindi su un doppio piano. Da un lato quello intimo, con l’amore per Laure e Christine, per la rappresentazione mai fotografica della realtà attraverso la pittura, dall’altro quello pubblico, con l’ansia di cambiamento e degli ideali propri dell’epoca in cui vive. E’un continuo confrontarsi con ciò che lo circonda. Diventandone protagonista e osservatore. Ponendosi sempre domande e trovando raramente risposte.
NON E’raro in <<Après Mai>> che la scenografia imponga spesso una salita e una discesa. Può essere di una strada, di un muro da scalare, di un liceo da imbrattare nella sua altimetria, di un panorama da osservare dall’alto verso il basso. E’come se Assayas voglia dire attraverso la cinepresa che questo continuo ricorso ai due piani sia di rendere evidente allo spettatore la ricerca di baricentro da parte dei suoi ragazzi. Che non trovano come è nella logica dell’età e di quella stagione. Gilles e i suoi compagni spesso corrono. Per sfuggire ai manganelli della polizia, alla reazione dei guardiani della scuola. E passeggiano nei momenti dell’amore e dell’incontro, scambiandosi libri, poesie. Viaggiano per l’Europa al seguito di una troupe cinematografica. Prendono direzioni differenti. Vogliono di fatto crearsi all’interno di un mondo che sta cambiando ma non si sa come.
OLIVIER ASSAYAS fotografa alla perfezione i primi Anni’70, le scelte e il restare. Dipinge con soggetti stereotipati le varie tipologie anche sociali che stanno accanto ai suoi protagonisti. La milionaria artista, Laure ovvero Carole Combes, che si perderà nella droga; la più concreta, e nuovo amore di Gilles, Christine, Lola Creton,che invece seguirà uno dei cineasti che vogliono descrivere rivoluzioni e mondo, l’americana Leslie, India Menuez, che tra Firenze e Kabul sceglierà di riprendere la strada di casa dopo avere abortito o coloro i quali si daranno alla clandestinità e alla lotta armata. E’storia di ideali e di tradimenti delle radici; alla fine Gilles alla pittura anteporrà il cinema-splendido il prefinale con la sua immagine che si pone dietro il set cinematografico nel quale lavora diventando un’ombra- ma lo spirito di quella generazione non si perderà mai.
LA FORZA di <<Après Mai>> sta proprio in questo: non si elegge mai a disanima o a analisi dei tempi che abbiamo vissuto. Li descrive come fossero presenti. La malinconia arriva con le domande che ci pone: non ribaltandoci le solite menate su gioie e dolori del 1968 e dintorni, qui spesso ritratte in modo impietoso e senza alcun affetto-le scene fiorentine sull’utilità sociale del cinema e su come dovrebbe essere descritta una rivoluzione popolare sono spassose, mettendo a nudo ingenuità e superficialità- piuttosto paragonando quella gioventù all’attuale, senza mai accennare a quest’ultima. Ed è un discorso che sgorga in automatico e che pone tantissimi punti interrogativi su ciò che sono ora i giovani. Confesso un certo senso di superiorità e di orgoglio all’uscita dalla sala. Non eravamo migliori, ma molto diversi si. Perché vivevamo di passioni e amori. I quadri, i libri, la musica, le poesie. Sognando la costruzione di un nuovo mondo senza poi ribaltare granché, anzi, ma con la soddisfazione almeno di averci provato e di non essere mai cambiati. Pulsanti come allora.