Dal supermarket al viaggio verso il passato: due film per parlare della Germania di oggi

L’OCCASIONE è stata offerta dal Cinema Teatro Orione di Bologna che in tempi di Covid-19 offre agli appassionati due film in streaming gratuito un paio di giorni la settimana, week end compreso. A fine marzo, se si esclude l’ottimo Un Mondo Fragile, recensito a suo tempo qui(lhttp://guido.sgwebitaly.it/articoli/le-immagini-belle-e-tragiche-di-un-mondo-fragile-fatto-di-polvere-e-sconfitte/ ) sono state due opere tedesche ad aver occupato le mie giornate: la prima-e più recente- Un Valzer Tra Gli Scaffali di Thomas Stuber del 2018, la seconda L’Ultimo Viaggio di Nick Baker- Monteys del 2017 molto differenti l’una dall’altra ma accomunate dal tentativo di spiegare attraverso la finzione la Germania di oggi. Perché nonostante il battage promozionale, fuorviante, della prima e un eccessivo ricorso all’edulcorato della seconda entrambe cercano di offrire un’ottica critica su una nazione che, anche alla luce delle recenti polemiche, resta molto più complessa di quanto non appaia.

Un Valzer Tra Gli Scaffali è un gioiellino che già al festival di Berlino del 2019 aveva incuriosito e non poco gli addetti ai lavori. Pur non essendo immune da pecche, di cui tratteremo in seguito, può essere inteso in molti modi, perché le sfumature sono numerose. C’è un ragazzo solitario, all’apparenza timidissimo, che giunge all’interno di un supermercato come aiutante nel reparto bibite. Si trova di fronte un responsabile altrettanto silenzioso che a poco a poco esprime la propria umanità, trasformandosi quasi in un padre. E c’è un terzo personaggio principale, attorno al quale, ruota questo valzer: è una ragazza del reparto dolciumi. Diventa naturale che lo scheletro della trama viri verso l’innamoramento tra apprendista e lavorante. Ma in realtà Thomas Stuber ci mostra altro: l’esistenza di tutta la piccola comunità del supermercato pulsa solo all’interno della struttura. Il resto è buio, solitudine, emarginazione, violenza. Il luogo di lavoro diventa l’unico spazio in cui potersi confrontare, unirsi, comunicare, aiutarsi. Lontanissimo da manifesti programmatici di politica sociale o sindacale-detto inter nos sarebbe stato scontato- l’autore offre uno sguardo disincantato e privo di illusioni sulla Germania del dopo unificazione. Le persone del supermercato hanno subìto in modo diretto o indiretto le conseguenze del cambiamento. Sono i nuovi perdenti di una società che ha trasformato gli autisti di tir in commessi, che offre la patente di macchinista di muletti come valore da raggiungere, che ha costretto a lasciare da parte qualsiasi illusione, che non ha soltanto assicurato il benessere. Storia di riscatto morale e di condanna sociale, Un Valzer Tra Gli Scaffali gioca su differenti piani estetici: l’iperealismo indaga le << macchine >>- i montacarichi- e così facendo ne mostra i segreti, i particolari. Questa ossessione di ripresa a poco a poco permette una vera e propria mutazione del mezzo meccanico in convitato fondamentale della sceneggiatura. Grazie a ciò Stuber varia il senso del percepito: i << muletti >> emettono suoni che sono musica, si esaltano nell’abbassare i propri montacarichi quasi frusciando lo sciabordio del mare. È pura poesia visiva e di contenuto, quasi che l’umanizzazione della macchina sia il medium capace di offrire un senso alle vite di ognuno. Peccato solo che Stuber ogni tanto si faccia prendere la mano da un eccesso di sentimentalismo e da alcune incongruenze-vedasi le visite del protagonista nelle case degli altri due- che fanno a pugni con un discorso del tutto coerente. Ottimi gli interpreti con Franz Rogowski Happy End di Haneke– nella parte dell’apprendista Christian, Peter Kurth in quella di Bruno, il suo diretto responsabile, e Sandra Hueller efficace nel proporre il personaggio di Marion.

L’Ultimo Viaggio di Nick Baker-Monteys ci racconta invece di una Germania che ancora non è riuscita a fare i conti con il proprio passato. C’è un nonno novantaduenne che appena rimasto vedovo parte in treno dalla Germania alla volta dell’Ucraina durante i moti del 2014 per ritrovare l’amore conosciuto all’epoca della seconda guerra mondiale. In questa fuga viene coinvolta, controvoglia, la nipote con la quale non ha alcun tipo di rapporto affettivo. Ai due si aggiungerà un ragazzo ucraino ma di etnia russa. È il classico percorso di ricerca interiore da parte di chi ha trascorso la vita chiuso in sé stesso, impossibilitato ad esprimere i propri sentimenti perché gravato da ciò che non si può rivelare. La sua è stata un’esistenza che ha mietuto vittime indirette, dove l’incomunicabilità con i familiari è stata assoluta. L’ansia di catarsi produrrà i propri effetti pur se la visione conclusiva sarà ben altro che ottimistica. L’Ultimo Viaggio è delizioso nella parte iniziale e molto efficace nel proporre un ritratto durissimo delle lotte fratricide in quella nazione dell’est europa. Ma crolla verso la conclusione, virando verso tematiche degne di una soap opera più che di un film dove la tragedia di ogni guerra, i carnefici e le vittime, il gioco delle parti, lo stato di necessità, erano stati i comuni denominatori fino ad allora. Grande l’interpretazione di Juergen Prochnow, assecondato dal brillante Tambet Tuisk e dall’intensa Petra Schmidt-Schaller. Si tratta comunque di un’opera piacevole, il cui limite risiede appunto nella volontà programmatica di commuovere lo spettatore.

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