La coerenza della poetica attraverso il surreale
TRE ANNI prima di Memories of Murder–Lo scandalo di una distribuzione mancata– tredici di Snowpiercer-Snowpiercer, viaggio nell’indole umana senza retorica-diciannove di Parasite-Sembra Goldoni ma è Parasite, perfetto congegno ad orologeria che smaschera un’intera società– Bong Joon-ho aveva già le idee precise. Per questo vale la pena di riscoprire il suo primo film Cane Che Abbaia Non Morde che quest’anno ha fatto capolino in alcune sale ed è ancora visibile sulla piattaforma legata a mymovies. È utile soprattutto per comprendere quanto l’autore sudcoreano abbia avuto fin dall’inizio una coerenza quasi radicale della sua idea di cinema e di riflessione sulla società del Sud Corea. Dal 2000 ad oggi ha semplicemente evoluto la propria poetica, non fossilizzandosi su un genere, cambiando spesso cornice e ambientazione ma non tradendo mai nè l’aspetto qualitativo del proprio lavoro nè la profondità di visione. Può trattare di un omicidio, di una relazione familiare, di fantascienza ma resta sempre sè stesso. Nel 2000 con questo film era riuscito a unire il surreale al ritmo, il divertimento della messa in scena alla dissacrante radiografia di una nazione e delle aspettative della sua gioventù.
Cane mangia cane nel segno della precarietà
I CANI del film sono allegoria. C’è un ricercatore senza un posto di lavoro, mantenuto dalla moglie gravida che lo comanda a bacchetta, ossessionato dall’abbaiare dei cani in un complesso abitativo che sembra essere uscito da Il Condominio di Ballard versione proletaria. Un ambiente dove gli individui non si conoscono, dove l’isolamento sociale è pari a quello del paesaggio che circonda tutti quanti. Bong Joo-ho penetra in questa precarietà non solo professionale con l’arma dell’ironia, del divertissement mai lasciati al caso, mai gratuiti. I personaggi sono essi stessi cani, privi di alcuna speranza. Il portiere di una scala del condominio si rifugia in uno sgabuzzino nascosto per cucinare cani rapiti e ammazzati e non riesce mai a mangiarli. Il professore li rapisce ma finirà con il ricercare disperatamente il barboncino che la moglie si è comprato con i soldi della liquidazione. Un’impiegata condominiale sogna di andare in televisione e spera in un’azione eroica che la possa mettere sotto la luce dei riflettori. Tutti si muovono all’interno di un mondo distaccato, a parte. Quello dell’incomunicabilità palpabile nei viaggi in metropolitana. I rifugi sono l’alcool e un passivo stato di rassegnazione. Ci sono i prodromi della gerarchia sociale che esploderà poi nelle ribellioni nel treno di Snowpiercer e in Parasite. Si ride tantissimo senza mai perdere di vista il ragionamento molto amaro del regista.
La corruzione alla base del sistema
AGLI ALBORI del 2000 la Corea del Sud non aveva ancora dimenticato il suo tribolato cammino verso la democrazia. Non può farlo neppure oggi e lo dimostrano i tanti film che gli autori continuano a proporre. A Taxi Driver di Jang Hoon, sul massacro di Gwangiu, ha avuto un enorme successo di pubblico in sala e no. Di impatto artistico superiore– è un capolavoro– e sull’argomento relativo al colpo di Stato del 1979 è basilare The President’s Last Bang di Im Sang-soo–Banchetti di sangue nell’autunno di Seoul– seguito a ruota da The Man Standing Next di Woo Min-ho– ne ho parlato nella sezione relativa al Feff22-Feff22 in breve– e dal più recente Kingmaker di Byun Sung-hyun–Kingmaker: la menzogna della politica attraverso l’uomo ombra-tutti a mostrare il teatro dell’assurdo e delle contraddizioni alla base di questo percorso. Bong Joon-ho arriva alle stesse conclusioni molti anni prima e con un’ottica che parte dal basso della scala sociale. L’unico modo per uscire dalla condizione di precarietà è la corruzione, ottenere i posti di lavoro attraverso il denaro. È una visione senza speranza. I cani non mordono e abbaiano perché hanno fame ma saranno sempre in balìa di chi li tiene al guinzaglio. Il sottotesto conclusivo del suo primo film lo fa intendere molto bene. Il protagonista sarà costretto a tradire il proprio ideale pur di avere il lavoro tanto desiderato; l’altra andrà alla ricerca di una vacua libertà.
Spassoso anche nei dettagli
IL FILM è godibile dall’inizio alla fine. Ci sono echi da commedia brillante alla Blake Edwards-mai nessuno ricorda il suo S.O.B, altro film da rivalutare-e un’evoluzione in cui si unisce l’Oriente con la cultura occidentale, segno distintivo di un popolo tra i più interessanti sulla faccia della terra. Il jazz fa da sottofondo-lo apprezzerebbe anche il detective Harry Bosch– a storie strampalate dove il protagonista è obbligato dalla moglie se vuole uscire con gli amici a rompere centinaia di gusci di noci, unico cibo che viene portato a casa, e il portiere racconta l’improbabile leggenda dell’idraulico Boiler Kim. Quando lo presentò Bong Joon-ho aveva solo trentuno anni ma si capiva che le sue spalle erano molto larghe. E il suo cervello, proprio come la metafora delle noci, funzionava a dovere. Per questo Cane Che Abbaia Non Morde va visto o rivisto. Perchè da allora a oggi non è invecchiato. Era un punto di partenza che indicava chi sarebbe diventato il suo regista.