All’Est c’è qualcosa di nuovo:Andrea Segre e la sua Li

io-sono-li.jpegECCOLO il gioiellino italiano arrivato nelle sale in questi giorni: si intitola << Io sono Li>>, è diretto da Andrea Segre. E’un’opera prima fino a un certo punto perché il trentacinquenne regista veneto la propria reputazione se l’era già costruita sia nell’ambito dei corti sia nei documentari. Alla Mostra di Venezia di  <<Io sono Li>> si è parlato molto. I quotidiani, o almeno la maggior parte di quelli nazionali, più che trattare del film in quanto tale ne hanno sottolineato la portata sociale, mettendo a confronto una terra dalle tradizioni solidissime, il Veneto appunto, con l’immigrazione  cinese. Ma << Io sono Li>> non può essere ridotto soltanto a questo. Sarebbe semplicistico e potrebbe andare bene per un titolo da taglio basso per incuriosire. In realtà siamo in presenza di un film potente, delizioso e originale che si avvale di un cast importante, dalla attrice prediletta da Jia Zhang-ke, nonché interprete di Still Life- Zhao Tao, a Rade Sherbedgia, del quale la prova in Prima della pioggia è solo una delle tante che si rammentano, fino ad arrivare a Marco Paolini, Giuseppe Battiston e Roberto Citran, gente che tra teatro e cinema ha costruito una carriera solida e di livello, negli ultimi tempi sfruttata a dovere da chi vuole affidarsi al meglio che c’è in circolazione. E se anche il cast non dovesse mettere la pulce nelle orecchie dei potenziali spettatori-perdere questo film è un delitto- diciamo senza mezzi termini che <<Io sono Li>> dimostra quanto il cinema italiano sia maturo per tornare a essere quello dei tempi migliori. Perché Andrea Segre ha un occhio per nulla provinciale, ma allargato a macchia d’olio verso il mondo.

SHUN LI è una immigrata cinese: le hanno <<pagato>> il permesso di soggiorno, lavora dove la <<grande famiglia>> decide. Da una industria d’abbigliamento nel Lazio a un’osteria di Chioggia senza possibilità di ribellione, come una prigioniera ben trattata alla quale è vietato il ricongiungimento con il figlio fino a quando non avrà ripagato interamente i costi per giungere in Italia e organizzarsi una esistenza indipendente. E’ il metodo quasi universale usato dagli sfruttatori- qui i cinesi sono presi a metafora ma si potrebbe parlare anche di altri- per mettere le radici negli affari e per allargare la propria influenza al di fuori della patria. Shun Li obbedisce, lavora sodo, trova nell’umile popolazione dei pescatori di Chioggia un contatto umano profondo, soprattutto con Bepi Il Poeta, un anziano emigrato dalla ex Jugoslavia ormai entrato a far parte del nucleo sociale del luogo. Sono i piccoli grandi casi di questa umanità che si incontrano con quello di Shun Li: Coppe lavora su un peschereccio ed è prossimo alla pensione; Bepi è vedovo da un anno, cerca di resistere alle insistenze del figlio che lo vuole sradicare dal luogo, giudicandolo troppo anziano per condurre quella vita faticosa che lo porta a pescare nel casone in laguna e a vivere da solo; l’avvocato è un altro frequentatore dell’osteria:non lavora più, trascorre le sue giornate tra i tavoli del locale e il barbiere, osservando distrattamente ciò che accade ed esprimendo giudizi; Devis invece rappresenta il nuovo che avanza. Vive di ansia di soldi, di prepotenza, dimentico della famiglia. Ma anch’egli è un uomo profondamente solo. Shun Li e Bepi hanno una diversità rispetto agli altri: cercano, ognuno a proprio modo, di costruirsi una vita, di non arrendersi., di non subirla. Ed è naturale che tra i due scoppi quel sentimento che forse va oltre l’amore, che non è fisico quasi facessero parte della stessa tribù, sebbene provenienti da mondi apparentemente all’opposto. Sarà la comprensione tra l’uno e l’altra a mutare il corso degli eventi, a farli precipitare. Perché Segre ci parla di comunità ben ancorate ai loro usi e costumi, gelose del proprio isolamento, impaurite, sospettose nel momento in cui viene dimostrato che un incontro è possibile.

<< Io sono Li>> lascia allo spettatore amarezza e speranza assieme. Nessuno vince in questo film, non c’è un lieto fine ma una finzione di <<happy end>> perché a trionfare sarà  lo <<status quo>>, lo schema, la regola da non violare. Ma, come abbiamo scritto, c’è anche la speranza:quella di un’umanità che guarda e che sacrifica sé stessa nell’ottica della priorità morale. Il film è vincente su tutta la linea, non solo nel soggetto. Per ambientare l’incontro con i cinesi e simboleggiarlo , Andrea Segre ha compreso subito che avrebbe dovuto racchiudere la propria storia in una scenografia naturale il più possibile vicina all’Oriente, al Far East che guarda caso incontra l’est italiano. Chioggia, la sua laguna, le sue barche, i suoi casoni così simili alle casette de << L’Isola>> di Kim-Ki Duck, quei piani ottici di camera dove l’acqua, il suo scorrere e allo stesso tempo la sua immobilità lagunare- Still Life appunto- diventano protagonisti, quei colori sfumati, la predominanza dei grigi sono il colpo di genio che fa del film qualcosa di molto diverso da ciò che spesso passa il convento. Si capisce che Segre si nutre anche di cinema orientale, i rimandi si notano tutti persino nello stile di racconto, nella scelta acuta di rinunciare al doppiaggio, nella secchezza priva di banalità e mai di ironia  dei dialoghi. Vincitore dei premi Fedic, Mangiacapre e Lanterna Magica a Venezia, << Io sono Li>> è un’opera importante e  matura. Chi ama la qualità non dovrebbe farsela sfuggire.

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