Eccessivo, a volte fastidioso ma di grande impatto
FATALE fu la deviazione, ovvero la Reroute del titolo, per i giovani Dan e Trina. Fatale anche la visione di questo film del filippino Lawrence Fajardo presentato al Feff24 destinato a dividere per i suoi eccessi-peraltro controllati- e la sua violenza psicologica. È la classica opera che non lascia indifferenti. Per qualcuno può essere cestinata come una boiata, per altri come film che merita almeno una visione a mente libera perché potrebbe sorprendere. Siamo infatti in un territorio scivoloso su cui il regista filippino ha cercato di creare una sorta di patchwork del meglio e del peggio dei b movies di genere, prendendo però a riferimento anche modelli ben più nobili sul fronte dell’atmosfera, della fotografia e della recitazione del cast. Come se suggerisca allo spettatore una sorta di prendere o lasciare. Chi scrive ha optato per la prima soluzione e crede di non avere sbagliato.
Una discesa nella follia quasi shakespeariana
C’È appunto la giovane coppia che dopo avere litigato, poi fatto l’amore in riva al mare , è costretta a deviare il percorso per andare a trovare la famiglia di lui e a inoltrarsi di notte in una stradina cupa dove, come da copione, la loro vettura si bloccherà all’improvviso senza possibilità di alternative. Verranno soccorsi, la mattina dopo, da uno strano tizio che vive in una baracca in mezzo alla foresta assieme alla moglie presunta o tale che non si comprende bene se sia affetta da mutismo isterico o da gelosia congenita. Il problema è che, sempre da prammatica, non si tratta di una famiglia normale. Così il grand guignol è pronto per essere servito a tavola con tutte le variazioni, anche sessuali, del caso. Fin qui nulla di nuovo. Piuttosto sono gli aspetti psicologici e introspettivi ad incuriosire. Ed è qui che il film cresce, andando oltre la propria trama. Perché Fajardo che conosce sia il cinema sia la letteratura e il teatro fa virare dietro la confezione il suo Reroute verso una tragedia shakespeariana allo stato puro, con un padre impazzito per la perdita e il suicidio della figlia, ossessionato dalla ricerca dell’indiretto colpevole e dal voler ricreare la figura filiale nelle altre donne che incontra. Insomma potrebbe essere un episodio di Criminal Minds, invece c’è molto King Lear con relativa Cordelia.
John Arcilla, Coppa Volpi non per caso
REROUTE è un film che di semplice ha solo lo svolgimento. Scavando, e nemmeno troppo, Fajardo ci parla di donne sottomesse, di ossessioni religiose, di sacche di impunità, di persone che vivono nell’ombra. Lo fa utilizzando il genere come passepartout in un film che è fotografato magnificamente in bianco e nero e dove la tensione incede a piccolo passi fino a conquistare e a soggiogare lo spettatore. Il tutto impreziosito da quell’autentico mostro di recitazione che è John Arcilla. Si proprio il vincitore della Coppa Volpi al festival di Venezia dello scorso settembre. È a lui che si deve la magistrale aderenza al personaggio di Gemo, il padre impazzito, crudele, sadico, violento, incestuoso a cui offre mille sfumature e un’autorevolezza senza cui il film non sarebbe stato così potente e vitale. Sembra quasi un colonnello Kurtz rimasto senza le sue truppe. Bravissimi sono anche gli altri tre protagonisti, Sid Lucero nella parte del litigioso e forse non trasparente Dan, le due ragazze Cindy Miranda, una ex miss che sa cosa significa recitare, e Nathalie Hart, entrambi volti molto noti nel far east asiatico. Mi sbilancio: pur con alcuni difetti e soluzioni fin troppo prevedibili Reroute merita la visione, a patto che si accetti di stare dalla sua parte.