<< Come l’ombra >> di Marina Spada ha dovuto attendere più di un anno prima di essere proiettato in qualche sala cinematografica, naturalmente nel periodo estivo di modo che hanno potuto vederlo in pochissimi. Recentemente ne è uscita una versione in dvd che consiglio di andare a pescare, perché il film merita. E’un’opera silenziosa, con poche battute di dialogo, essenziale, teso, interamente girato nella Milano più vera, in quel paesaggio a metà tra il postindustriale, le gelide periferie, che la rendono a volte così simile alle città dell’ex Unione Sovietica. Non a caso Marina Spada e lo sceneggiatore Daniele Maggioni ambientano in questo territorio spoglio, algido, splendidamente fotografato da Gabriele Basilico, la storia di due solitudini femminili. Quella di Claudia, impiegata in un’agenzia di viaggi, single quasi rassegnata, e di Olga, una più giovane ucraina che l’insegnante di russo, l’uomo di cui Claudia è innamorata, la costringe ad ospitare per una settimana. Le due solitudine si confrontano, comunicano finché Olga misteriosamente scompare. Il finale sarà tragico, comune a quello di tante ragazze dell’est emigrate in cerca di una vita migliore. Senza mai cadere nel facile schematismo, rinunciando agli archetipi, giocando soprattutto con i silenzi, gli sguardi, i gesti quotidiani della vita, dispersi in un paesaggio alienante dove nemmeno << attererebbero i marziani >> Spada ci consegna un film amaro, sfruttando al massimo le potenzialità del digitale. L’autunno scorso << Come l’ombra >> -titolo che prende spunto da una poesia di Anna Achmatova- è stato premiato al festival di Mar de la Plata. Molti lo hanno paragonato ad alcuni lavori di Antonioni e di Wenders. La scuola, indubbiamente, è quella con un pizzico del primo Olmi – quello che girava film industriali- ma calata nella contemporaneità, nella forza del personaggio di Claudia di percorrere, nella scena finale, il viaggio a ritroso di Olga seguendo le parole di Achmatova: << come vuole l’ombra staccarsi dal corpo, come vuole la carne separarsi dall’anima, così io adesso voglio essere scordata >>. Il suo è un silenzio che ora urla, i colori si uniscono, si dividono, si rimescolano come una neve colorata su un monitor, come sabbia. Così con una fluidità che non lascia spazio ai dubbi si conclude uno dei migliori film italiani degli ultimi anni, dentro il quale ci si cala e si resta avvolti. Con la consueta rabbia, alla fine, di sapere che non abbiamo mai il coraggio di imporre certe opere al grande pubblico. Da altre parti, Francia o Germania, Marina Spada sarebbe un regista sul quale investire pesantemente, di cui parlare, da promuovere. Da noi è già molto che il suo film sia arrivato da Blockbuster. E così sia.