La schivata, Marivaux nella banlieue

laschivata1.jpgNon so se << La Schivata >>, film con il quale nel 2004 Abdellatif Kechiche, vinse il premio per la miglior regia al festival di Torino, sia meglio del successivo << Cous Cous >>. Sono due film diversi per trama non per ispirazione. Del secondo ho scritto e ritengo sia difficile superarlo. << La schivata >> è però un’ altra opera di valore assoluto. Più commestibile, più tenera, un esempio che dovrebbe essere preso dai nostri produttori e registi quando hanno in mente di creare un film sui giovani, sulle problematiche sociali, sulle periferie del mondo, sulla relazione tra ricchi e poveri, sui linguaggi. Mentre noi offriamo scemenze assortite e valori poco credibili- sembriamo da come molti film affondano nel sociale un paese di cerebrolesi e…forse non hanno tutti i torti- , in Francia ci sono registi come Kechiche che illustrano senza tesi e preconcetti con garbo e grazia cosa è la banlieue ma anche le grandi potenzialità dei giovani di quelle parti. << La schivata >> del titolo è il gesto con cui Lisetta, nel Gioco del caso e dell’amore di Marivaux, evita il bacio di Arlecchino. Perché tutto il film ruota attorno all’opera teatrale che un gruppo di studenti francoarabi di periferia devono mettere in scena. Da questo spunto, dal gioco stesso di Marivaux – in cui il povero scambia la parte con il ricco, restando comunque povero – prende spunto un film eccellente, mai pesante, soprattutto mai pedante. Il coro di voci di << Cous Cous >> è presente ma è più armonico, meno volutamente fastidioso. Il linguaggio violento delle periferie, la gestualità dei ragazzi diventano solo un modo di espressione ma non di contenuto. Non siamo dalle parti di << L’odio >> di Kassowitz. Di questo resta l’ambientazione, non la violenza come unica arma per sentirsi parte del mondo. Qui a muovere tutto sono i sentimenti, i linguaggi che si scontrano. Viene sviluppata la lezione del primo film di Kechiche, l’imperfetto ma interessante << Tutta colpa di Voltaire >>. Gli interpreti, molti dei quali come tradizione del regista franco-algerino, sono stati presi direttamente dalla strada, girano a mille. Sono giovanissimi, intensi, splendidi nella ricerca spasmodica di risoluzione dei loro problemi, della creazione di un sogno. Alla fine del film, che ha un’ottima versione in dvd regolarmente noleggiata anche dai Blockbuster, ci si chiede quale è la differenza tra noi e i francesi. Loro realizzano << La schivata >> noi spesso non andiamo oltre << Tre metri sopra al cielo >>. Può bastare per la nostra…sfiducia? Perché in Italia pochissimi (Sorrentino, Garrone, Capuano, Angelini) hanno un’idea che va oltre il comune senso del ridicolo che spesso ci propina il nostro cinema?

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