NON SI RIESCE a comprendere il motivo per il quale <<L’intervallo>> sia stato inserito nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia invece che nella selezione ufficiale. Alla base forse ci sono le solite scelte di compromesso che fanno parte della nomenklatura italiana anche quando queste dovrebbero essere messe in disparte. Ma è una considerazione secondaria, perché un grande film resta tale anche se viene proiettato lontano dalle luci della ribalta. <<L’intervallo>> vivrà a lungo del suo splendore, un poco come avvenuto l’anno passato con <<Io sono Li>> che era stato di gran lunga il miglior film italiano portato in riva al Lido e relegato ai confini della Mostra.
<<L’INTERVALLO>> come il tempo sospeso, come l’oasi nell’esistenza di due adolescenti napoletani, lui diciassette anni, venditore ambulante di granite, e lei, quindici, segregata in un collegio abbandonato e fatiscente, immenso e diroccato, simbolo di decadenza. Lui la controlla perché ha fatto un favore a gente del quartiere, lei deve attendere il piccolo guappo che dovrà interrogarla. Il rapporto potrebbe essere quello tra secondino e prigioniero. Potrebbe nascere la sindrome di Stoccolma, invece non accade nulla di tutto questo. Nel tempo che trascorreranno in modo coattivo, ritroveranno il significato dell’adolescenza, i propri sogni, viaggeranno in un mondo che è lontano da quello reale nel quale sono costretti, si conosceranno.
DIRETTO da Leonardo Di Costanzo, autore anche della sceneggiatura assieme a due tra gli sceneggiatori di <<Gomorra>>, Maurizio Braucci e Mariangela Barbanente, <<L’intervallo>> è tutto giocato sulla recitazione degli strepitosi e giovanissimi interpreti e la cura quasi maniacale di ricreare un <<mondo nuovo>> all’interno di ciò che è in rovina e che sa solo di passato remoto. Così l’incontro tra Salvatore e Veronica diventa una sorta di viaggio, alla scoperta l’uno dell’altra e soprattutto di condivisione delle proprie fantasie. Nell’immenso luogo dove entrambi sono rinchiusi, ogni anfratto, ogni giardino, ogni vecchia stanza racchiude un segreto. L’acqua fognaria che inonda i locali si trasforma in un lago o in un’isola. Gli alberi sono quelli di una foresta. Durerà un giorno intero questa artificiale fuga dalla realtà che i ragazzi vivono. Una realtà che esiste ed è conosciuta anche da loro. Sopra le loro teste risuona prepotente con il rumore degli aerei che atterrano, di fronte agli occhi vedono i grattacieli che si alzano quasi a celare la vita segreta di una città che non riesce a coprire i propri difetti, la metastasi camorrista che ne brucia le fondamenta, il malaffare diventato regola e non eccezione. Eppure sia Salvatore sia Veronica sanno di appartenere a quel mondo. Lo distruggono per un giorno che in fin dei conti rappresenterà un attimo nella loro vita. Salvatore è puro: è lontano dalla delinquenza. Disprezza il sangue e le armi, sogna l’Africa, vive per la famiglia, vorrebbe diventare chef ma si accontenta di vendere granite assieme al padre. Veronica è differente: più aggressiva, in apparenza più coraggiosa. Forse conosce già le regole del gioco, ha voglia di ribellarsi. In un certo senso è un elemento di disturbo nel microcosmo del quartiere ed è per questo che è stata sequestrata. L’umanità di Di Costanzo sembra più che cercare riscatto sognare di restare nell’età dell’innocenza. Lasciare in disparte ciò che conosce fin troppo bene. E’per questo che il <<viaggio>> intrapreso anche dagli spettatori de <<L’intervallo>> si trasforma in un motivo di riflessione in più rispetto a ciò che vede: non si tratta di una favola né di un racconto buonista creato per strappare applausi a scena aperta. E’un modo molto originale di osservare il fenomeno Napoli da un’altra ottica, quella di chi comunque sembra <<costritto>> alle regole del gioco fin dall’inizio. Il finale, splendido come tutto il resto di un film che non ha mai un appesantimento, lo confermerà.
QUANDO tutto si concluderà i due ragazzi torneranno a casa con la disillusione nella pelle. Sconfitti e per nulla felici. Forse rimpiangeranno la loro prigione, quei muri a circondare il luogo dell’azione che invece di soffocarli li ha isolati permettendo di verificare che è il contesto non il singolo ad essere marcio. Senza alcuna scena di violenza, << L’intervallo>> dice più di Napoli, qui visto come luogo deputato di ogni società al margine, di tanti altri film. E’una chicca, una poesia che non fa sgorgare alcuna lacrima, un perfetto racconto d’autore su come si sia costretti a restare vittime, stritolati da leggi della strada non scritte ma applicate. E’un grido di dolore, un lamento che viene dal profondo senza sceneggiate, senza urla. Dolcissimo. Salvatore e Veronica sono gli innocenti destinati alla sconfitta. Il mondo che sognano non riusciranno mai a crearlo. Resterà all’interno di una <<prigione>> che ha profumato di libertà.
DI COSTANZO, da documentarista di professione, si rifiuta di proporci un finale costruito. Lascia le cose così come sono. La speranza, forse, risiede in Salvatore, l’unico tra i due protagonisti che potrebbe modificare il proprio destino. Ma non ci è dato da sapere ed è giusto così. Film giocato sulla macchina da presa, sull’ambiente, i colori, <<L’Intervallo>> vive di questo duetto tra i ragazzi. Entrambi, Francesca Riso e Alessio Gallo, sono alla prima prova dopo essere stati selezionati da un laboratorio teatrale organizzato dallo Stabile di Napoli. Grazie alla loro naturalezza, alla capacità espressiva, alla purezza sorreggono e danno vita ad uno dei film più interessanti degli ultimi tempi, prodotto da Tempesta Film, che l’anno passato aveva debuttato con l’ottimo <<Corpo Celeste>> di Alice Rohrwacher.