<<LA FRANCIA E’BELLA MA NON CI SONO GLI ARABI>>:dice questo Catherine Sola al figlio Jacques Gamblin nel prefinale del <<Il primo uomo>>, una delle poche pellicole meritevoli di attenzione di questa iellatissima stagione che dall’inverno ci ha portato alla primavera senza donarci grande qualità nelle sale. E’una battuta semplice, secca, essenziale:come è l’ultima opera di Gianni Amelio, un autore coerente con sé stesso e la sua poetica che sfruttando l’omonimo romanzo postumo di Albert Camus, è andato a comporre un altro pezzo importante di quell’affresco originale che è la sua produzione. Siamo in Algeria alla ricerca delle radici: lo scrittore Jean Cormery torna nei luoghi dell’infanzia e della adolescenza quando i prodromi della battaglia di Algeri stanno esplodendo in tutta la loro forza. Lo fa per spiegare agli studenti il proprio punto di vista sulla situazione. In realtà il suo è un viaggio a ritroso per scoprire il padre mai conosciuto, per ritrovare appunto l’essenza individuale che fatalmente gli fornirà le risposte che cercava. Potrebbe essere un viaggio interiore, intimo. Lo è nella forma del romanzo ma Amelio non se ne impadronisce. Lo lascia scorrere nella trama perché sa benissimo che il messaggio lasciatoci da Camus ha un qualcosa di molto più vasto, di universale. Ecco quindi che il confronto con il proprio passato si trasforma per il protagonista e Amelio nell’occasione ideale per rileggere la storia di una relazione, quella tra Francia e Algeria, che altro non è che un incontro di popoli, di gente, di uomini, di ottiche; come è ben sottolineato in una battuta del film sono i romanzi a spiegarci il mondo, non i testi di storia delle aule scolastiche. E’ il singolo che racconta la propria esperienza rendendole pubblica, offrendo del passato la visione del vissuto reale. Senza questa precisazione è chiaro che l’intera impalcatura de <<Il primo uomo>> crollerebbe dopo un paio di immagini, perché si ridurrebbe solamente a un bel racconto, per giunta interpretato divinamente dai suoi attori. Invece non è così: questo film ha la valenza <<sociale>> che tanto piace a certe correnti di pensiero senza mai parlare del sociale stesso. Ma vivendolo. E’ la sua forza strepitosa, coinvolgente.
COSI’ l’atto d’amore non è per gli algerini o per i francesi ma per la fiducia nell’uomo. Affondando nel proprio passato, nella ricerca di un padre morto in guerra, lo scrittore Jean Cormery rivisita tutta la propria esistenza puntando il proprio occhio sulla convivenza tra gli uni e gli altri, tra i dominati e i dominanti, tra i << barbari per i quali a volte bisogna fare il tifo>> e i tanti francesi che nel 1848 decisero di partire per la nazione africana convinti di giungere nella terra promessa. Attraverso continui salti temporali tra il presente e il prima, Gianni Amelio ci introduce in un mondo dove il privato si trasforma in pubblico, dove la violenza della ribellione trova il proprio limite ultimo nel momento in cui va a intaccare la vita del singolo. Gli occhi di Cormery osservano, confrontano il prima e l’oggi, disegnano punti interrogativi; si socchiudono per accarezzare l’idea che esiste una terza via, una strada nuova per rendere armonico il mondo. Non una profezia di pace né di buonismo da spalmare sugli indumenti degli spettatori. Ma la scelta di indagare, di avventurarsi nella storia attraverso la consapevolezza di noi stessi e l’ascolto degli altri. E’il mondo nuovo sognato da Camus e che da sempre è il senso profondo del cinema civilmente silenzioso e quindi più profondo di Gianni Amelio, autore con <<Il primo uomo>> di un punto fermo della sua produzione. Fotografato in modo impeccabile, recitato con la stessa delicatezza con la quale è girato, <<Il primo uomo>> è un film da non perdere che ci regala un motivo in più per tornare a casa e immaginare che qualcosa possa cambiare.