LA FORZA del cinema, del sapere raccontare una storia sempre diversa, di cambiare, di saltare da un genere all’altro , di coniugare la profondità con lo spettacolo: questo è Clint Eastwood. D’accordo chi scrive lo idolatra, ne ha contestato soltanto il <<mediocre>>- per il suo standard- <<Invictus>>, prodotto raffinato e di qualità adatto ai buonisti di ogni continente. Sono un partigiano, su Eastwood non transigo e spudoramente, al di là di chi ha storto il naso, affermo che il suo << Hereafter>> è cinema con la C maiuscola, è film d’autore, un altro di quelli che smuovono l’epidermide e le ghiandole lacrimali, che fanno riflettere. Da <<Kill me please>> del belga Olias Barco a <<Hereafter>> dell’atipico statunitense Clint Eastwood il passo è breve: da una parte e dall’altra si parla di morte. Nella clinica del dottor Kruger si va per morire, in <<Hereafter>> la percezione della fine vita ci promette, per dirla alla Esenin, <<un incontro futuro>>. In entrambi i casi i vivi riflettono sul morire. Barco in modo ironico, dissacrante, focalizzandosi sulle cliniche che praticano l’eutanasia assistita. Eastwood sulla percezione della sottile linea che separa l’esistenza da ciò che avviene nel trapasso. <<Hereafter>>, ovvero <<Quidopo>>. Su questo confine si poggiano le incertezze dei personaggi di Eastwood.LA BELLA, raffinata, spesso sottovalutata grande attrice- belga- Cecile de France è una giornalista da approfondimento da prima serata che durante lo tsunami che colpisce la Thailandia nel 2004 viene travolta dalla furia naturale. Vivrà per secondi interminabili che paiono minuti l’esperienza del trapasso, sott’acqua, priva di sensi, proiettata in un’altra dimensione. Si salverà, assieme al suo compagno produttore, e da quel giorno la vita sarà totalmente differente, la sua esperienza del <<mentre>> diventerà un istinto che la porterà a perdere i privilegi e a gettarsi a capofitto nell’approfondimento della zona d’ombra, nel limbo tra morte e esistenza. L’operaio Matt Damon è invece un sensitivo di San Francisco che ha deciso di smetterla nello stringere le mani degli altri: lui vede oltre, legge il passato, parla con chi non c’è più e non riesce quindi a stabilire una relazione normale con chi lo circonda. Odia quel suo potere. Incute paura a se stesso. Ogni sera ascolta le letture dei romanzi di Charles Dickens per addormentarsi. A Londra invece il piccolo Marcus, Franckie McLaren, vive un’infanzia difficile, dickensiana appunto, assieme al fratello gemello Jason: conoscono il brutto della vita, la madre è una tossica e quando Jason verrà investito, Marcus avrà solo uno scopo per elaborare il lutto:sapere cosa c’è oltre, sapere cosa è la morte, cosa accade dopo. Le tre storie circolari di Eastwood porteranno i protagonisti a percorrere un lungo giro attorno al problema e a ritrovarsi. Sono i tre volti della stessa medaglia ed ossessione: la giornalista sa cosa c’è nel trapasso, il sensitivo ne conosce il dopo, il piccolo ne vive il mistero e il buco d’assenza di chi non c’è più. Tutti e tre vittime, prese a simbolo delle domande senza risposta dell’umanità che si interroga sulla fine. Quella di Eastwood è una riflessione dove gli eroi non esistono. A differenza del suo cinema classico, spesso diviso tra il contrasto bene-male, giusto-ingiusto, in << Hereafter >> l’ottica dell’autore allarga la visuale come se egli stesso volesse tradurre in modo artistico i punti interrogativi- anzi l’unico autentico punto interrogativo-che ognuno si pone durante il cammino e dal quale è ossessionato. Come in <<Kill me please >> la forza che ne scaturisce è pura energia vitale, è respiro, esistenza.I PROTAGONISTI del film sono vivi che si ribellano ai propri incubi: talmente forti, cocciuti, nelle loro ansie e dubbi che troveranno le risposte che cercano in un finale perfetto, dove Eastwood ci offrirà una riconciliazione con la vita e i sentimenti solo all’apparenza <<buonista>> e facile. No, niente di tutto ciò: per due ore che scorrono in un lampo lo spettatore si cala nei drammi dei tre immergendosi nelle stesse domande, lasciandosi trasportare dall’ipnotico fluire di una storia che ha soltanto qualche battuta d’arresto all’inizio della seconda parte ma che poi risale ed esplode, prorompente. E’il trionfo della vita e allo stesso tempo della serenità di chi può attendere la morte e osservarla non più come un mostro ma come un evento, una rappacificazione, un’acquisizione di saggezza definitiva. <<Hereafter>> è un romanzo per immagini che riporta Eastwood nel territorio più di << A mezzanotte nel giardino del bene e del male>>, di cui evolve i prodromi, che in quello di <<Un mondo perfetto>> o <<Mystic River>>. Da grande narratore il <<saggio>> Clint ci lascia stupefatti passando da una eccellente ricostruzione <<storica>> dello tsunami fisico e mentale a lacrime, sorrisi, scene <<cult>> da commedia romantica-da incorniciare e tramandare quella alla scuola di cucina tra l’ormai <<mostruosamente>> perfetto Matt Damon e la dolcissima Bryce Dallas Howard– a ironiche disgressioni fino ad arrivare a emozioni antiche che solo lui, nel cinema contemporaneo, sa apparecchiare con simile equilibrio, intuito, grazia, raffinatezza. Eastwood ha un dono di natura: rifugge dall’idea di dover dimostrare di essere migliore e differente dagli altri. Non fa pesare la sua grandezza. Quella che anche in << Hereafter>> ci ha fatto uscire dalla sala con le lacrime agli occhi, con la gioia del cinema, con la domanda insistente di capire chi, tra i registi degli ultimi anni, possa, per capacità di diversificare e di saper coniugare spettacolo con profondità, sia in grado di raccoglierne l’eredità. Forse Christopher Nolan ma questo è un altro discorso, una pura e semplice istintiva opinione personale.