Ubriacatura di vita in soda caustica

images-11.jpegMENTRE in Italia la gente ride con Checco Zalone, i cinepanettoni e prodotti cinematografici indici di una povertà intellettuale assai imbarazzante, stando almeno a ciò che pensano i nostri produttori e gli autori costretti alla sopravvivenza, in Francia e nei paesi di lingua francofona in generale non si perde occasione per dimostrare di non avere dimenticato la grande lezione di Molière e di tutto ciò che discende dal grande autore di teatro dalla sua epoca a oggi. Non esiste argomento che possa essere affrontato usando l’arma del vetriolo, del sarcasmo, della cattiveria senza sconti, mettiamo furba, ammiccante  lo spettatore ma allo stesso tempo efficace, graffiante, intelligente come si pretende da chi vuole proporre un tema scottante al pubblico. <<Kill me please>> è figlio di questa cultura come è imparentato in maniera molto stretta con il teatro dell’assurdo nelle sue varie forme, Beckett e molto Ionesco in questo caso e quindi riesce in modo indiretto anche a rendere omaggio agli sberleffi di uno dei maggiori autori di cinema del XX secolo Marco Ferreri, con qualche puntata nel territorio meno conosciuto dai più di un altro genio della storia, Rainer Werner Fassbinder. Allo stesso tempo il film che ha vinto il festival cinematografico di Roma si inserisce in modo perfetto, quasi come diretta conseguenza, in quel filone di prodotti che da Delicatessen passano per Louise-Michel – di cui il protagonista Bouli Lanners è uno degli interpreti di questo film- per arrivare appunto alla pellicola diretta dal belga Olias Barco. LA MORTE è da sempre un tema scottante da affrontare. Se si decide poi di parlare di suicidi ed eutanasia, come avviene nella cupa clinica svizzera del dottor Kruger, bisogna avere parecchia intelligenza e gusto per decidere di dissacrare, distruggere, ribaltare luoghi comuni e far ridere la gente. Perché il dibattito sulla morte assistita  è uno di quelli capaci di disturbare le coscienze, di dividere la politica, di provocare crisi di governi, di ledere le relazioni tra le istituzioni governative e quelle religiose. Un regista italiano <<medio>> ci avrebbe propinato una pellicola a tema, intrisa di demagogica ideologia, consegnandoci l’ennesimo manifesto semipolitico del proprio pensiero. Olias Barco non cade nel tranello: se ne frega dell’essere corretto a tutti i costi; lui pensa a mettere in scena un’ipotesi realistica prendendo spunto da fatti autentici che fanno parte dell’attualità. C’è sempre più gente che decide di andare a trascorrere gli ultimi giorni nelle cliniche della morte. La Svizzera è il simbolo di questa opportunità. Ma i protagonisti di <<Kill me please>> sono molto diversi da ciò che possiamo immaginare. Si va dai malati immaginari dell’incipit,  è qui che viene citato dal primo <<paziente>>Molière in contrapposizione a Shakespeare, ai maniaci depressivi, a chi vuole farla finita per aver perso la moglie a poker e a chi semplicemente è stanco di soffrire. Un piccolo esercito di disperati che vogliono la morte assistita per le più svariate ragioni. Il dottor Kruger osserva dalle finestre della clinica la neve che cade al suolo, corre nei boschi, dissuade con forza relativa alcuni a compiere il passo definitivo oppure li accontenta versando nel bicchiere qualche goccia di un potente veleno per donare una dolce morte.PERCHE’ I PAZIENTI della clinica vogliono morire? La risposta è molto semplice:per esaudire un proprio desiderio. Morire cavalcati da una studentessa-prostituta o giocando ai marines come un Rambo impazzito oppure cantando <<La Marsigliese>> o infine consumando la stessa cena di molti anni prima. Arrivare alla clinica, quindi, è un’operazione mentale che contempla la vita, non la morte. E attendere il giorno X diventa quindi un modo per ritrovare il gusto che l’esistenza quotidiana ha dimenticato, cancellato. Ognuno entrando in quella clinica avendo come scopo una <<bella morte>> ritrova in definitiva il sapore dell’esistenza . Gli zombie di <<Kill me please>> sono in assoluto i tipi più vitali che si possano immaginare. Esaltano i loro tic, le loro manie, perdono le maschere,ne combinano di tutti i colori. In questo sberleffo continuato il film ricorda per davvero certi lavori di Samuel Beckett, dove i personaggi sebbene imprigionati dal presente esplodono una vitalità ubriacante. In <<Kill me please>> siamo in una zona senza tempo. La clinica si trasforma quasi in un << non luogo >> atemporale dove la beffa finale verrà servita a protagonisti e comprimari, a spettatori che attendono chissà cosa senza sapere realmente che piega prenderà la storia. Come nella migliore tradizione del <<grand guignol>> farsesco Olias Barco metterà d’accordo tutti in uno dei finali più genialmente demenziali degli ultimi anni. Se in Louise-Michel di Delèpine la malata terminale viene lanciata come arma contro il simulacro del potere, in <<Kill me please>> gli schiavi definitivi dei propri tic troveranno giustizia dalla stupidità del destino, dall’ennesima beffa del caso. In istanti di vita riconquistata.LA MAGNIFICA CATTIVERIA di questo film è frutto della intuitiva applicazione di chi sa usare la dissacrazione come bomba a orologeria. Per arrivare al nucleo di un discorso complesso bisogna ampliare a dismura, allargare nell’improbabile. Più lo si fa, maggiori sono le possibilità di arrivare al centro del problema, senza bisogno di didascalie, di piagnistei. Essere cattivi è il privilegio di chi scrive e chi fa cinema. Di chi non si limita a fotografare e non vuole salire in cattedra. Quello di Olias Barco è un grande film su un grande problema. Perderlo, per chi ama il cinema, sarebbe davvero un suicidio: della passione e delle coscienze.

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