Quando penso a Pedro Almodovar accade quasi sempre un fatto straordinario, fuori dal consueto: non riesco mai a ricordare un suo film. Confondo la trama di uno con un altro, dimentico i titoli, gli interpreti, faccio confusione. Non riesco quindi a inserire il cinema di Almodovar in una dimensione storica. L’unico di cui ho memoria precisa, tangibile è << Volver >>. Scritto così sembrerebbe che io non apprezzi la cinematografia del regista spagnolo. Invece no. L’altro fatto straordinario è che quasi tutti i film di Almodovar mi sono piaciuti, mi hanno emozionato. Eppure non li ricordo. E credo, andando a casaccio nel territorio del passato, di averli visti tutti. Forse accadrà anche con << Gli abbracci spezzati >> che ieri sera mi ha commosso, che ho sentito molto mio, molto intimo, e del quale, altra stranezza, faccio fatica a scrivere.Almodovar è un regista che ha un pregio: l’unicità. E’riconoscibile, è lui, nessun altro ha una costruzione cinematografica come la sua. Se fosse italiano lo accosterei a Sergio Rubini proprio per quella idea che offre di originalità spiccata, che non è artificiale, è mentale, istintiva. Il maggior pregio dell’artista che fa e non si traveste da << creativo >> per impersonare una parte. << Gli abbracci spezzati >> avrebbe potuto correre un gravissimo rischio: trasformarsi in breve in un melò parasentimentale, da romanzetto d’appendice, scontato. Perché la storia aveva tutto per scivolare nel banale: il regista famoso che perde la vista nel momento in cui perde l’amore, gli intrecci di gelosia, soprusi, vendette, i personaggi di contorno. Invece no. << Gli abbracci spezzati >> non è un romanzo d’appendice, non è un melò. E’un film molto diverso dalla storia che racconta. E’ amaro, disperato, lancinante eppure così pieno di vita, è un abbraccio alla vita, è un abbraccio al cinema, è ottimista, è sorridente con lacrime, è Almodovar. Ed è anche un grande gioco che l’autore offre allo spettatore. L’ubriacatura di indizi per risolvere la trama, svelata solo nel finale, è assoluta. Ogni inquadratura ci trasforma in detective, ogni battuta, ogni sceneggiatura immaginata dal suo protagonista e dal suo giovane allievo ha un significato completo, che poi confluirà nell’oltre, nella pellicola che va avanti e indietro, tra il presente, il passato prossimo, il passato remoto, con flashback. Ho apprezzato moltissimo in questo film la capacità di Almodovar di caratterizzare i personaggi fin dalla loro prima entrata in scena. Pochi tocchi, geniali, precisi. Ciò che lo spettatore vede è esattamente ciò che percepisce. Non è da tutti.Mateo Blanco è un regista che ora si chiama Harry Caine perché non può più essere Mateo Blanco. Il suo pseudonimo è lo stesso con il quale ha scritto una sceneggiatura di una commedia brillante molto tempo prima. Il suo ultimo film da regista. E’cieco ma scrive sceneggiature. E’cieco ma insidia spesso con successo le donne. E’cieco ma è atleticamente prestante, in splendida forma. E’cieco ma non si è chiuso. E’cieco ma è il primo a soccorrere i suoi affetti. Non vede ma il suo mondo è una pellicola, è un film. Non vede ma si vede. E’presente a sé stesso. Non si butta via. E’ ironicamente cieco. Non piange sul proprio dramma che non è il non poter vedere. Piange per una perdita, sul passato ha fatto scorrere una patina della quale è consapevole. Potrà raccontarla solo a colui il quale nel film rappresenta l’innocenza, il domani, al figlio della sua agente e donna di fiducia. E chi è questo figlio? Un ragazzo che non è cieco, che batte a macchina le sceneggiature di Caine, un ragazzo i cui occhi sono rivolti al cinema, a storie che vorrebbe scrivere, alla fantasia che vorrebbe realizzare. In definitiva colui il quale nel cinema vede le risposte e dalla vita cerca il proprio film.Credo si possa comprendere quanto << Gli abbracci spezzati >> mi abbia preso di << pelle >>, procurato un tumulto interiore, illuminato. Non ho ancora letto nulla di quanto scritto sul film all’indomani della sua presentazione. O forse ricordo recensioni freddine non so di chi e non so nemmeno quando. E’incredibile la confusione che Almodovar mi crea persino nell’ovvietà. E sono sicuro che tra qualche anno, al bar sotto casa, parlando di questo o quello chiederò: << Scusa ma come si intitola quel film dove lui è cieco? >>. Mi risponderanno che nei film di Almodovar c’è sempre un cieco e in effetti anche in Spagna, a Madrid, ho visto un sacco di ciechi negli anni ’60 vendere i biglietti della lotteria e le sigarette. Poi chiuderò gli occhi anch’io. Sarò cieco E mi tornerà in mente tutto. ….Quelle braccia stagliate sul volto ingigantito di Penelope Cruz su uno schermo. Poi andrò a vedere un film e là troverò luce e spiegazioni. Perché il cinema di Almodovar nasce e muore dentro il cinema. Questo è il suo tocco.