Il Nord Europa, ovvero l’infelicità
Vivere nel Nord Europa, nel caso di Armand in Norvegia, non deve essere facile. La politica improntata all’illusione di favorire una sorta di equità sociale attraverso servizi e aiuti al cittadino, sembra sortire spesso e volentieri l’effetto opposto. È un leit motiv di molte produzioni artistiche nordiche, basti pensare alla maggioranza dei film danesi, non parlo di von Trier che meriterebbe un discorso a parte né di Nicolas Winding Refn il quale ha ormai intrapreso strade differenti, quanto di prodotti << medi >> che spesso pongono al centro il fallimento di queste politiche, vedasi l’ottimo Wildland–In Danimarca, dove il cinema è cupo-. Anche la Norvegia su questo fronte non scherza:prova ne è appunto Armand, vincitore della Camera d’Or a Cannes 2024 che sono riuscito a gustarmi solo ora, a distanza di un anno dalla sua uscita.
Tutti a scuola per la resa dei conti
Succede che gli insegnanti di una scuola convochino la madre di un ragazzino, Armand appunto, che sembra,-non è certo, forse è probabile, potrebbe essere, anzi è, chissà– avere compiuto approcci sessuali nei confronti del suo migliore amichetto, che tra l’altro è suo cugino. All’incontro, sempre per via dell’illusoria equità di giustizia, si presentano anche i genitori dell’altro per sostenere le proprie ragioni. Gli insegnanti dovranno trovare una soluzione. È il classico contenitore di un gioco che si rivelerà al massacro, dove ogni presunta verità verrà smontata ed esploderanno sentimenti, l’odio soprattutto, trattenuti per troppo tempo.
Promossa l’introspezione
Il regista Halfdan Ullman Tøndel, il cognome tradisce la discendenza dal duo Bergman-Ulman di cui è nipote, è molto bravo nel cogliere gli aspetti psicologici dei personaggi, aiutato in questo dal cast e dalla strepitosa prova attoriale della sempre più convincente Renate Reinsve, calata alla perfezione nel personaggio di Elisabeth, la madre del presunto colpevole: una donna, di professione attrice, in preda ad apparenti nevrosi e depressioni-ha perduto il marito- ma lucidissima nell’osservare la commedia dell’assurdo creata quasi ad arte per distruggere quel poco che resta della sua famiglia e di sé stessa. Ha anche il privilegio di entrare nel Guinness dei primati per una delle risate più lunghe mai apparse sugli schermi. È chiara l’impostazione teatrale di tutto il soggetto che riesce a diventare sempre più cupo man mano che si svolgono gli avvenimenti. A poco a poco, sorreggendosi sulle spalle degli attori, l’autore riesce a scoperchiare il vaso di Pandora, fatto di bugie, gelosie, invidie, conti in sospeso e di un sistema dove appare fin troppo facile diventare a propria insaputa colpevole o vittima a prescindere. Così l’illusione di una società libera, serena, giusta viene vanificata. Lo stato dei personaggi di Armand nella realtà corrisponde a quell’aula chiusa dove si svolge la vicenda. I loro procedimenti mentali sono le scale a chiocciola che il regista mostra, le loro frustrazioni il rumore fragoroso di passi nei corridoi della scuola. Quasi un de profundis che si svolge in un ambiente soffocante, volutamente claustrofobico, reso ossessivo dal continuo fischio di una sirena antindendio, vera colonna sonora del film.
Da bocciare un compiacimento eccessivo
Dove Armand non funziona è nell’eccessivo compiacimento di Ullman Tøndel; il regista infatti si lascia andare, soprattutto nella seconda parte e nel finale, ad allegorie visive che invece di fornire un accrescimento del soggetto ne sortiscono l’effetto opposto.Sembrano quasi inserite in sceneggiatura più per fare colpo e stupire che per reali esigenze di copione e che a volte rischiano il ridicolo. Così il film discende su un crinale scosceso che sarebbe giustificabile a teatro ma non sullo schermo. Armand resta in ogni caso un’ opera molto interessante e il suo regista abile nel mescolare vari stili, con una efficace ouverture e una scena finale, quasi un fermo immagine a precedere i titoli di coda, semplice ed esplicativo. Ma la autentica freccia al suo arco resta l’importante prova degli attori e la bravura di Renate Reinsve, senza la quale il risultato sarebbe stato differente.