Tanto rumore per nulla
F1 è giunto sui nostri schermi dopo un battage promozionale durato oltre dodici mesi, tanto da far pensare che si potesse trattare di un film sul mondo della Formula 1 e del motorsport quasi definitivo. Purtroppo la realtà ha preso il sopravvento sull’immaginazione e…sulle speranze. F1 non è altro che un prodotto usa e getta, basato solo sulla forza-relativa-delle immagini a cui non è bastato un cast stellare e una produzione di grido per elevarlo a stato dell’arte o punto fermo della cinematografia. Viste le cifre considerevoli investite e l’appoggio autocelebrativo dell’ambiente del << circus >>, già autoreferenziale per sé stesso, ci saremmo aspettati qualcosina in più dell’ennesima trita e ritrita favoletta proposta da Joseph Kosinski con un pilota di ritorno dopo anni di assenza, Brad Pitt, a cercare di salvare un team in crack sportivo e finanziario attraverso la sua resurrezione individuale e l’immancabile confronto con il giovane e promettente compagno di squadra, Damson Idris. La trama è tutta qui: di fatto non esiste. F1 è incentrato sulle immagini, sullo show, su un’azione fin troppo spesso scontata, quindi noiosa, che invece di procurare adrenalina seda lo spettatore e lo invoglia a controllare quanti minuti, sempre troppi, mancano alla conclusione. Perché oltre al problema del soggetto di fatto inesistente c’è anche quello della dinamica vera e propria delle immagini, dell’action per dirla in gergo, sempre troppo simili l’una all’altra. Una F1 senza pathos.
Esaltazione del cinema monodimensionale
È come se in sede di stesura regia e produzione si fossero messe d’accordo per andare sul sicuro, senza prendersi nemmeno un rischio. Premere forte il pedale dell’acceleratore sull’aspetto fotografico e scenico, lasciando perdere qualsiasi tipo di introspezione. Ne esce una estetica monodimensionale, incapace di coinvolgere tutto ciò che va oltre protagonisti e team. Questo è ancora più grave, vista la disponibilità dell’ambiente di far parte attiva del progetto. La Formula 1 è come se restasse sempre sullo sfondo, senza essere il convitato di pietra. Una semplice terza parte che ospita troupe e attori, li inserisce persino nei propri giri di ricognizione, ma che, al di là di qualche cameo poco credibile, non esiste. Certo ci sono i simulatori, le gallerie del vento, i pit stop, qualcuno che tende a fregare l’altro, ma manca totalmente l’aspetto drammatico, l’intreccio. F1 nelle migliori delle ipotesi lo sfiora ma poi lo perde di vista, se ne va lungo un percorso piatto, superficiale, purtroppo simile a tanti prodotti televisivi o da piattaforma.
Per favore ridateci Grand Prix
F1 è un’occasione sprecata, nonostante la buona volontà del cast. Brad Pitt è bravissimo- non c’è bisogno di dirlo- e Kerry Cordon, attrice enorme, musa teatrale di Martin McDonagh e interprete tra i tanti de Gli Spiriti dell’Isola-https://guidoschittone.com/gli-spiriti-dellisola-la-radice-teatrale-a-volte-smorza-il-ritmo-del-film-di-martin-mcdonagh-ma-gli-interpreti-sono-al-top/-non gli è da meno anche se il migliore è Javier Bardem, credibile nel ruolo del manager a rischio banca rotta, ma oltre alle loro prove, compresa quella di Damson Idris, c’è veramente poco. Siamo ai confini di una trama da videogioco. E se uno pensa che nel 1967 John Frankenheimer girò Grand Prix, rivoluzionando il modo di riprendere, inventandosi lo split screen, e entrando nel mondo della Formula 1 per costruire uno straordinario mélo in cui le storie individuali servivano a creare il mito della specialità e dei suoi protagonisti c’è quasi da scuotere la testa. Qui di mito non c’è nemmeno l’ombra. Forse è lo specchio dei tempi. Di sicuro questo non è il cinema che amiamo.