Kinds of Kindness, quando le immagini non riescono a riempire il vuoto

A divertirsi è solo Lanthimos

Ho atteso qualche mese prima di vedere Kinds of Kindness, il film che Yorgos Lanthimos ha presentato quest’anno a Cannes e che ha permesso al bravissimo Jesse Plemons di aggiudicarsi il premio come migliore attore protagonista. Ma se si eccettua l’evidente prova maiuscola offerta dal cast, Emma Stone,Margaret Quailey, Willem Dafoe, Hong Chau, è come se l’autore greco sia caduto nella sindrome che colpisce molti artisti di successo: lo specchiarsi in sé stessi. Per carità abbiamo visto ben di peggio eppure in Kinds of Kindness si assiste quasi a una regressione, a un ritorno al passato remoto da parte di Lanthimos ed è un peccato perché fino ai precedenti La FavoritaLa Favorita: quando il film in costume è un mezzo per esaltare il grottesco dell’illusione del potere– e al pluripremiato Povere Creature-Povere Creature: il percorso di Bella verso la consapevolezza nell’ennesimo ottimo film di Lanthimos -pareva che il regista avesse trovato una invidiabile stabilità narrativa. In Kinds of Kindness tutto ciò scompare. Si ritorna al Lanthimos che vuole a tutti i costi stupire, immergendosi in una cerebralità artificiale dove solo lui e lo sceneggiatore Efthymis Filippou riescono a divertirsi. D’altronde quando natura chiama è difficile resistere: sotto sotto Lanthimos non ha perduto mai il vizio. Solo che può riuscire in un cortometraggio come NimicNimic: undici minuti di Lanthimos in un corto che non è soltanto un esercizio di stile– non in un film che dura quasi tre ore.

Tre episodi di cui uno parzialmente riuscito

Il Film è diviso in tre episodi differenti in cui il cast ruota cambiando personaggi e ambientazioni. Dei tre quello iniziale, La Morte di R.M.F., è il migliore e non solo per la via della sua intelligibilità. Lanthimos disintegra come consuetudine le convenzioni alla base della famiglia e dei rapporti sentimentali. C’è un uomo, Plemons, obbligato dal suo principale, Dafoe, a investire e uccidere uno sconosciuto che viaggia su una Bmw blu scuro. È la fotografia di una relazione tra padrone e sottoposto che sfocia nella sottomissione sessuale e nella schiavitù psicologica. Sarà di fatto impossibile per Plemons liberarsi di quei lacci. Anzi, una volta ribellatosi diventerà ancora più succube perché privo di qualsiasi punto di riferimento esistenziale. Anche in questo episodio di novità ce ne sono ben poche. A ben vedere si cerca di scimmiottare il ballardiano, poi diventato al cinema materia di Cronenberg, CrashCrash tra film e romanzo: viaggio contemporaneo– e altre cose che spaziano dal puro diveritssement grottesco al no sense buttati là quasi per gioco. Leggerezze però che non restano impresse, al contrario della splendida indagine sugli oggetti e sugli arredamenti, veri e propri terzi occhi che assistono impotenti a questo balletto. Alcuni di essi sono nature morte , il casco insanguinato di Senna, la racchetta rotta di McEnroe, simulacri di un passato non replicabile, definitivamente scomparso per lasciare il posto al puro rapporto di dipendenza sociale.

Tra dipendenze sociali e altre cose

Di questo si parla nel secondo episodio, Il Volo di R.M.F., in cui Plemons è un poliziotto angustiato dalla scomparsa della moglie, naufragata su un’isola deserta e poi riportata a casa in elicottero. Il viaggio del poliziotto, una volta ritrovata l’amata, si trasforma in una discesa quasi lynchiana nella propria psiche. Vede Emma Stone come una replica mostruosa della donna che aveva sposato e l’ossessione si trasforma in pazzia mentre la donna confessa al padre, Dafoe, di avere vissuto su un’isola dove i cani erano i padroni e gli umani i sottoposti. Insomma un’ulteriore evoluzione della prima storia condita da una filosofia abbastanza spicciola sul fatto che bisogna cibarsi dei propri incubi per ritrovare sé stessi. E nel terzo racconto, R.M.F. mangia un sandwich, si passa alla riflessione sulla fede, con Stone e Plemons seguaci di una setta con il culto della purezza dell’acqua di cui il guru è Dafoe . Il loro compito è ricercare una donna in grado di resuscitare i morti e di diventare quindi la guida della comunità. Stone, dopo essere stata cacciata dalla setta per aver fatto sesso con il marito, diventando quindi impura, riuscirà nell’impresa ma solo parzialmente. È l’episodio meno riuscito, in cui la mano dissacrante di Lanthimos non graffia più di tanto, indecisa se buttare giù dalla torre della fede la new wave ecologista o l’istituzione matrimoniale.

Una splendida fotografia che cela il vuoto

Parafrasando un passo della notevole Inquieto degli irraggiungibili CSI si direbbe che in Kinds of Kindness << il vuoto è pieno >>. A riempire il nulla di nuovo del film ci pensa la già citata fotografia di Robbie Ryan con le sue inquadrature dalla perfezione geometrica, l’iperealismo degli oggetti, il gusto algido di spazi contenitori di questi mostri che si chiamano uomini. Ma tutto ciò non serve a elevare il film dove il contenuto non corrisponde alla forma. Come non basta l’ottima prova degli attori, sulle cui spalle poggia una sceneggiatura che ha pochi picchi di fantasia. Sembra infatti di rivedere certi film del passato prossimo ma di ben altro spessore. Alla fine della storia Kinds of Kindness non è altro ciò che non era Nimic: un esercizio di stile.

Condividi!