Crash tra film e romanzo: viaggio contemporaneo

crash4.jpgE’diverso il finale di << Crash >> di David Cronenberg rispetto al romanzo di James Graham Ballard. E ci sono parecchie differenze tra film e testo, cambiamenti di trama, modifiche ai personaggi. Eppure raramente nella storia del cinema si è assistita a una commistione quasi assoluta tra spirito del romanzo e quello del racconto visivo messo in scena dall’autore forse più costante, a livello qualitativo, dell’epoca attuale. Dice James Spader alla splendida Deborah Kara Unger :<< la prossima volta >> e lo ripete prima che la cinepresa si allarghi per ritornare a rimpicciolire le due figure seminude sul ciglio dell’ autostrada atte a copulare sotto le lamiere danneggiate dell’automobile di lei. Nel libro questa scena non esiste, non c’è in Ballard questo incidente procurato e voluto. << Il traffico, intanto, scorre in flusso incessante lungo il cavalcavia. Gli apparecchi si levano dalle piste dell’aeroporto, portando i resti del seme di Vaughan alle plance e alle griglie dei radiatori di mille auto in fase di schianto, alle posture cruciali d’un milione di passeggeri>>. Esiste però l’intuitiva capacità di David Cronenberg di captare, circoscrivere, visualizzare ciò che James Ballard, il protagonista del romanzo non lo scrittore, ci dice qualche riga sopra: << Poi riprendemmo a vagare tra le auto derelitte, il braccio di Catherine attorno ai miei fianchi, le sue dita da me premute contro i muscoli del mio stomaco. E in quel momento seppi di star disegnando gli elementi del mio scontro automobilistico>>. Scrivo questo perché ieri notte ho riguardato << Crash>> che all’epoca della sua uscita, 1996, mise a soqquadro schiere di benpensanti, fece vacillare la critica divisa tra leggendarie stroncature – Irene Bignardi e Tullio Kezich tra i più duri della prima ora – ed esaltazioni cinefile, richiami e denunce per l’intervento della censura, boicottaggi e il meritatissimo premio speciale che la pellicola si guadagnò sul campo al festival di Cannes, grazie alla sensibilità e all’entusiasmo del presidente Francis Ford Coppola. Erano trascorsi ventitre anni dall’uscita del romanzo e quel testo così duro, profetico, personalissimo, continuava a creare divisioni tra i sostenitori del capolavoro e quelli che lo liquidavano come una boiata qualsiasi. Credo che il tempo abbia reso giustizia ad entrambi, libro e film come spero che l’opera di Ballard venga ricordata in toto, senza gettare via nulla, per quella genialità di << annusare il vento >> come scrissi qui qualche mese addietro in occasione della morte dello scrittore inglese. Il film dunque modifica il libro, interprentandolo appieno, cogliendone il senso, non limitandosi a mostrare scene ardite di sesso e di devastazione fisica. Cronenberg lancia lo stesso grido disperato di Ballard: l’allegoria del futuribile gli permette di non prendere posizione, di non partecipare, ma di illustrare. E’ciò che spingeva Ballard a scrivere nella postfazione del romanzo che <<lo scrittore non sa più nulla. Lo scrittore non ha più una posizione morale: offre al lettore i contenuti del proprio cervello, sotto forma di una serie di possibilità di alternative fantastiche. Il suo ruolo è quello dello scienziato che, in safari o in laboratorio, si trovi davanti a un territorio o argomento del tutto sconosciuto. In tale situazione, tutto ciò che può fare è concepire ipotesi e verificarle alla luce dei fatti >>. Prendendo alla lettera Ballard, Cronenberg acquisisce lo spirito del romanzo e della poetica ballardiana, sfruttando magnificamente ciò di cui lo scrittore aveva gettato le basi nel precedente << La mostra delle atrocità>>, comprendendo che l’immagine avrebbe dato una forza mostruosa a quell’incredibile metafora dei nostri tempi che era e resta << Crash >>. E’vero il film ha lunghe sequenze di copulazioni estreme ma nessuna di esse, come nel libro, è messa lì a caso. Cronenberg non giudica, fa entrare i personaggi di Ballard, Catherine, Vaughan, della dottoressa Remington, di Gabrielle e dello stuntman Seagrave, nella scatola che lo scrittore ha predisposto. Li osserva alle prese con la civiltà tecnologica, elegge l’automobile non tanto come scontato simbolo sessuale o nostra definitiva propaggine contemporanea quanto come un non luogo in un mondo senza tempo, dove non esiste un prima, un dopo, una scansione. E’ un non luogo che si materializza sotto forma di lamiere e curve, di stridio di gomme e di accartocciamenti, forse l’unico riempitivo del nulla che resta all’umanità descritta da Ballard. E’un trip mentale dell’individuo per il quale non c’è null’ altro che la tecnologia e il sesso per fingere di essere. Ma attenzione: l’auto non a caso è l’allegoria scelta dal romanzo. Vaughan è un esperto di computer ma ha eletto l’automobile come obiettivo delle proprie ricerche sull’umano. L’auto con il suo dinamismo ci trasporta, l’auto però è l’ultima tecnologia che l’uomo può tentare, conducendola, di dominare. Amore e morte sono le altre due coordinate che Cronenberg segue fedelmente: << Crash >> nelle intenzioni di Ballard avrebbe dovuto essere un << romanzo pornografico basato sulla tecnologia >>, nella quale quest’ultima viene sfruttata per rispondere alla domanda che lo stesso scrittore si pone nella postfazione :<< Cosa vediamo nell’incidente automobilistico: un sinistro presagio di un orrendo connubio tra sesso e tecnologia? La tecnologia moderna ci fornirà forse inimmaginabili mezzi di sfruttamento delle nostre psicopatologie? E questo imbrigliamento della nostra innata perversità potrà esserci di beneficio? >> La storia di Crash è anche il sottile gioco perverso, fatto di complicità, tra il personaggio Ballard e sua moglie Catherine. L’incidente del quale resta vittima il protagonista all’inizio del film- nel libro l’incipit è il flashback del finale- cambia la sua stessa percezione esistenziale. Nell’opera di Cronenberg è reso molto bene come Catherine si avvii progressivamente nello stesso territorio del marito, spingendolo a non disfarsi della fascinazione che Vaughan gli causa. Ed è tutto un gioco mentale: la perversione dei due si attiva attraverso le immagini che l’una propone attraverso le parole all’altro, gli intrecci tra i vari personaggi diventano legami basati sul singolo modo che agli umani viene offerto dalla società ballardiana: arrivare a un passo dalla morte facendosi sfruttare dalla tecnologia e allo stesso tempo usandola. E’una visione <<pornografica>> attraverso la quale si celebra l’ amore possibile di questo mondo senza tempo né storia. Ricreare gli incidenti stradali di James Dean e Jane Maynsfield per Vaughan è l’unico metodo accettabile per costruire la storia di noi stessi, per donarci un passato che altrimenti non esisterebbe. Le cicatrici, le mutilazioni sono l’espressione del prima. Ed essere attratti da questo odore di morte ci permette di immaginare << la prossima volta>>, il proseguire comunque. Quella che manca nel romanzo, dove forse c’è meno negatività, meno pessimismo: James Ballard raccoglie il proprio seme, si aggira tra le auto incidentate di un deposito, ne lascia le impronte. Segna il territorio con la vita. In entrambi i casi Cronenberg e Ballard ammoniscono, mettono in guardia. Peccato che da allora, 1973 e 1996, nulla sia cambiato. Quel presente <<immaginato>> da Ballard è ancora qui.

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