Locke: originale riflessione sui travagli individuali

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ARRIVA un giorno nella vita di ognuno in cui tutto sembra crollare addosso; le sicurezze apparenti, le rassicuranti solidità professionali e familiari. Un giorno nel quale il passato all’improvviso è come un grattacielo dalle fondamenta fragili e instabili. L’individuo, per la prima volta nell’esistenza, si trova quindi di fronte a un bivio: o opera una scelta, giusta o sbagliata che sia, o lascia tutto come è stato, nell’immanenza.In quei momenti ci si accorge per davvero che esistono conti da regolare con il passato, che rimandare non è più possibile. Bisogna operare una scelta morale. Il singolo, nella propria solitudine, vive questo travaglio. Le arti cercano di rappresentarlo e di interpretarlo. << Locke >>, l’ottimo film del britannico Steven Knight, affronta la problematica da un’ottica originale. Sviluppa il discorso indicando allo spettatore confini precisi. Quello temporale, un viaggio notturno di poche ore che da Birmingham porta a Londra. E quello fisico, in cui il capocantiere Ivan Locke, ovvero un grandioso Tom Hardy si trova a tu per tu con il sé stesso all’interno dell’abitacolo della propria autovettura. Potrebbe essere un film claustrofobico. Non lo è. Oppure noioso e non è nemmeno questo. E, visto l’argomento – la scelta morale- pesantuccio. Sbagliato, a volte è persino divertente. Perché Knight è sceneggiatore di vaglia; conosce il significato del ritmo e dei tempi morti, sa cosa è l’essenzialità di una storia e non gigioneggia, non perde tempo.

LA SUA IDEA geniale è quella di sfruttare parte del concetto ballardiano di automobile: non solo intesa come scatoletta meccanica contenitore di solitudine quanto luogo fisico ideale nel quale l’uomo può confrontarsi con il proprio intimo e le proprie domande. Ivan Locke, marito ingenuamente fedifrago per una sera che gli ha cambiato la vita, viaggia tra M6 e M1 partendo dalle proprie sicurezze per raggiungere l’incerto. Nel suo viaggio lungo un’ora e mezza si collega con il mondo che è stato suo. Sembra redigere testamento: istruisce chi dovrà sostituirlo al lavoro dopo una dipendenza di successo lunga nove anni alla vigilia della più grande colata di cemento europea per la realizzazione delle fondamenta di un enorme edificio. Confessa alla moglie il motivo per il quale non rientrerà a casa. Si collega in continuazione con un ospedale londinese dove la donna con la quale ha avuto un fugace rapporto sessuale, che a lui non piace e per la quale non prova alcun sentimento, sta partorendo il loro figlio.Come Travis in Taxi Driver, Ivan Locke guarda spesso nelle specchietto retrovisore e si mette a parlare, discutere con il fantasma del padre naturale. Il tutto con la macchina da presa che riprende solo Hardy, il display del telefono e i fasci di luce che cambiano in continuazione. Le uniche concessioni agli esterni sono le immagini che l’occhio di questo splendido attore vede attorno a sé: le deviazioni autostradali, le ambulanze, le sirene della polizia, il traffico nemmeno troppo caotico della M1 in una sera qualsiasi, dove le auto appunto racchiudono un’umanità alle prese con le proprie domande. Lo sostiene lo stesso regista che ammette di avere avuto l’idea di scrivere la sceneggiatura dopo avere sperimentato quanto sia differente << essere soli in automobile rispetto ad altri luoghi >>. Il suo eroe è un uomo normale, ordinario. Un tecnico pignolo, privo di grandi interessi, appassionato di calcio e poco altro, coscienzioso sul lavoro e per questo prezioso. Il suo modo di essere, però, non gli impedisce, anzi lo aiuta, nel sapere da che parte stare. La sua idea di giustizia è quella di riconoscere il figlio e di rinunciare a tutto ciò che è stato, non prima però di avere sistemato ogni situazione. Non vincerà, non perderà. Ma alla fine la vita sarà più forte di tutto e se non altro regalerà al signor Ivan Locke un rinnovamento cosciente e la serenità di avere operato seguendo la propria morale.

GIRATO in presa diretta in otto giorni, nei quali Tom Hardy ha per davvero guidato in autostrada, con scorta di polizia annessa,mentre le voci degli altri protagonisti ricevevano le telefonate in una stanza di hotel, << Locke >> è un film particolare di grande ritmo e sostanza. Steven Knight lo fa crescere scena dopo scena – sarebbe meglio dire telefonata dopo telefonata- giocando molto con gli sguardi mai sopra le righe del proprio protagonista e riuscendo a donare lo stesso travaglio agli spettatori. Alla fine ognuno si trova proiettato dentro quella Bmw ponendosi non solo le domande di Ivan Locke ma chiedendosi come si comporterebbe in una situazione del genere. Così Knightriesce a creare un’assoluta complicità tra la storia che racconta e chi deve seguirla. In un’ora e mezza non c’è un momento di stanchezza, di disattenzione. L’ << ordinarietà >> del personaggio Ivan Locke, uno, nessuno, centomila, rafforza il discorso sulle scelte etiche e sul coraggio dell’individuo nell’affrontare l’esistenza. Il fascino del film è poi assicurato dal mix tra la musica di Dickon Hinchliffe e le immagini. Stupenda la notte on the road, magico il cambiamento continuo dell’intensità delle luci e degli angoli che queste vanno a illuminare o dove si riflettono. Knight, sceneggiatore sia di << Piccoli Affari Sporchi >> di Stephen Frears sia de <<La Promessa Dell’Assassino >> di David Cronenberg, oltre che autore dello show televisivo Chi Vuol Essere Milionario firma uno dei film più interessanti di questa ricca stagione. Capace con pochi mezzi, un grande attore e un’idea semplice di parlarci dei nostri dubbi, dell’apnea esistenziale nella quale ci dibattiamo. Indicandoci una strada: quella della scelta.

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