Wall Street Journal e una classifica bugiarda

Il Wall Street Journal non è certo famoso per essere uno specialista cinematografico. Eppure il suo critico ha pubblicato recentemente una classifica dei migliori giovani cineasti europei, tralasciando tutti gli italiani, molti francesi, molti belgi, tedeschi e altri ancora. Si sa le classifiche di merito lasciano il tempo che trovano. Ma indicano in questo caso una tendenza internazionale di valutazione. Gli italiani mancano in blocco ed è un fatto curioso. Chi mi conosce sa benissimo che spesso non sono tenero nei confronti della nostra cinematografia. A volte esistono le idee ma mancano le produzioni. Altre ci sono le produzioni ma mancano le idee. Troppe volte si va sul sicuro, non si ama il rischio di mostrare qualcosa di diverso. Molti autori si parlano addosso e se ne stanno molto lontano dai gusti della gente. Eppure proprio negli ultimi anni il cinema italiano ha dato segni non casuali di rinascita, almeno a livello di qualità. Sorrentino, Costanzo, Garrone- mi adeguo a ciò che scrive Mereghetti prendendo i primi tre che mi vengono in mente- sono autori non solo promettenti ma capaci nella loro microstoria personale di essere un sicuro punto di riferimento. Non banali, non casuali, riescono a creare film profondi partendo da storie originali, non assimilabili a ciò che va per la maggiore. E in Europa non ci sono soltanto i romeni Christian Mungiu o Corneliu Porumbou. Non c’è solo la spagnola Isabel Coixet, che a parer mio deve crescere ancora molto, c’è un francese di enorme qualità come Jacques Audiard, ci sono i belgi che ormai hanno una cinematografia ben salda e costantemente all’insegna della qualità, c’è una inglese come Andrea Arnold, forse non giovanissima ma già in grado di vincere un Oscar, ci sono tedesci che promettono, non affidandosi a un filone unico ma esprimendo la loro personalità, c’è un turco- tedesco come Fatih Akin che in due film << La sposa turca >> e << Ai confini del paradiso >> ha dimostrato di possedere il registro dell’autore affermato. Che gli italiani siano stati esclusi non stupisce: è da anni che snobiamo i festival, rifuggiamo scientemente dai film d’autore, quasi che il nostro cinema si sia basato sempre sui sequel e sulle opere da cartellone. Il fatto autentico è che sono pochi produttori e distributori a imporre il prodotto su scala internazionale. Ed è un particolare curioso, perché è attraverso i loro finanziamenti che un regista sopravvive e riesce a lavorare. Un’altra stortura di una nazione che continua a cercare una propria identità. Ma questo non toglie che la classifica del Wall Street Journal sia superficiale, affrettata e, per dirla tutta, incompetente.

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