Vero, delicato, complesso, importante: Sulla Mia Pelle non è solo Alessandro Borghi

Non è semplice costruire un film da un oscuro e in parte oscurato caso di cronaca al centro da qualche anno delle cronache giudiziarie, delle immancabili polemiche e delle conseguenti divisioni tra i sostenitori di una tesi e dell’altra. C’è il rischio, assodato, di trasferire questo manicheismo spesso artificiale creando un racconto dimentico della storia, che l’amplifica o la riduce secondo le certezze- o convenienze- personali degli autori. Va quindi tributato un plauso sincero ad Alessio Cremonini e al cosceneggiatore Lisa Nur Sultan per aver fatto di Sulla Mia Pelle un’opera rigorosa, importante, dolce e bella, lontana anni luce dai birignao di un certo cinema cosiddetto d’impegno. Perché prendere di petto il caso di Stefano Cucchi era tutt’altro che facile. La materia è delicatissima, vuoi per il sacrosanto clamore mediatico che ha suscitato, vuoi per le implicazioni dirette e indirette che coinvolgono le strutture amministrative italiane. C’era quindi la possibilità di pendere da una parte o dall’altra; appunto di creare un film a tesi precostituita, imperdonabile vizio del cinema che si definisce civile. Sulla Mia Pelle è nulla di tutto questo. Il regista non giudica; racconta gli ultimi giorni di vita di un ragazzo di trentuno anni finito suo malgrado in un girone infernale fatto di violenza, dimenticanze, assenze, assurde pratiche burocratiche, ritardi e manchevolezze. Offre al pubblico la chiave di lettura il più possibile neutra ma non fredda. Perché tra le qualità di Sulla Mia Pelle spicca quella di traslare il dato di cronaca in racconto avvincente e molto costante nel ritmo, senza lungaggini o punti morti.

L’arma di Cremonini è il non tradire la storia. Ci mostra Cucchi sotto varie luci: quella dell’arrestato e quella dell’individuo con le sue fragilità, gli errori commessi, il lento precipitare in una via Crucis. I concetti di colpevolezza e innocenza a poco a poco vengono meno lasciando spazio a una pietà non gratuita e alla domanda, irrisolta, del perché sia potuto accadere in una nazione che si proclama civile tutto questo.
La forza di Sulla Mia Pelle risiede anche nell’armonia di racconto che Alessio Cremonini crea tra la sfera privata della famiglia Cucchi e il ganglio dell’apparato burocratico-statale. Da un lato c’è uno splendido ritratto del nucleo dei Cucchi, padre-madre-sorella, colti nella loro intimità, macerati da sensi di colpa e rassegnazione; dall’altro quello del mondo delle regole che invece di tutelare creano muri impossibili da scalfire e che come convitati di pietra complicano ancora di più la possibilità di venire a capo della situazione.
È un film dove l’umanità non è bandita, in cui sarebbe stato fin troppo facile dividere i colpevoli dagli innocenti. Cremonini non casca nel tranello, preferisce offrire credibilità. Stefano Cucchi diventa il nucleo centrale di una tragedia contemporanea in cui esistono i violenti ma anche ampie isole di profonda umanità e compassione tra le stazioni dei carabinieri e le celle carcerarie. Forse, è il dubbio che il regista ci pone, il caso Cucchi non avrebbe avuto la sua letale conclusione se le regole fossero state differenti e l’inazione di molti causata dal senso di impotenza nei confronti di un termine che non amo, perchè significa tutto e niente: il sistema. È questo l’aspetto più sottilmente pubblico di Sulla Mia Pelle.

Alessandro Borghi è il pilastro che regge la solida impalcatura dell’opera. Rivaleggia in bravura e perfezione con il Michael Fassbender di Hunger. Non è un Cristo laico ma un uomo che si trova al cospetto di qualcosa più grande del previsto. Che subisce, che racchiude il disgusto e la rabbia in un silenzio fatale fatto di disillusione disperata. Emaciato, dimagrito, irriconoscibile offre una prova d’attore che non si dimenticherà in fretta. Anche lui, come il film, non è mai eccessivo. Entra in Stefano Cucchi cercando di comprenderne il personaggio, studiando le sue contraddizioni, i suoi limiti e i suoi pregi, le sue speranze tradite. Ne assume l’inflessione e la voce originale-quella che conclude Sulla Mia Pelle– incalzando lo spettatore passo dopo passo, espressione dopo espressione, battuta dopo battuta, donandogli lo stesso smarrimento e l’identica incredulità. Nasce in Borghi-Cucchi la lenta quanto inesorabile consapevolezza di non potere nulla, dapprima di non riuscire a contrapporre le proprie ragioni a un mondo che sembra non volerlo ascoltare e poi a rifiutare qualsiasi forma di aiuto, unica possibilità, sbagliata o giusta che sia, per affermare se stesso. Alessandro Borghi si carica sulle spalle questa complessità psicologica, basata sulla sofferenza, sulla paura, sulla totale disillusione esistenziale di cui la violenza, fisica prima e morale poi, subìta non è altro che l’indicatore principe. Non è un eroe lo Stefano Cucchi di Alessandro Borghi: è una persona fragilissima che ha il terrore di comunicare. Un ragazzo che si ritrova solo, abbandonato.

Valore aggiunto dell’opera di Cremonini è la caratterizzazione della famiglia Il padre, un convincente Max Tortora, cela il senso del fallimento genitoriale attraverso una palpabile rassegnazione. La madre, meravigliosa la prova di Milvia Marigliano, si macera nel silenzio tra la speranza e la voglia di lottare. Jasmine Trinca, come sempre perfetta, prende in mano le redini della situazione quando ormai è troppo tardi. E anche ad ognuno di loro è negata la sublimazione. Così Sulla Mia Pelle diventa una storia vera nel senso pieno del termine. Credibile all’ennesima potenza e per questo una denuncia ancora più forte di qualsiasi pamphlet prefabbricato. Un grande film con grandi attori per un’infinità di domande che Cremonini ci pone.

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