La notte dei 12 anni: l’intensità che non si nutre del didascalico

IL MERITO maggiore di La Notte dei 12 Anni è la capacità del suo autore Alvaro Brechner di essere riuscito a realizzare un film difficile, intenso, emozionale senza bisogno di ricorrere al didascalico, alla retorica, che troppo spesso smorzano la potenza e gli effetti del cinema definito civile. In questo caso, un po’ come era accaduto in Sulla Mia Pelle di Alessio Cremonini, la capacità di fare cinema permette di sdoganare l’odiosissima schematizzazione che ingabbia la riflessione su fatti ed epoche in una sorta di genere, per offrirgli un respiro universale e di conseguenza una potenza che zittisce la platea, la lascia attonita, partecipe a ciò che scorre sullo schermo, nel riflettere sulle brutture e sulle storture della storia con la esse maiuscola. Cremonini nel film sul caso Cucchi ci è riuscito offrendo ottiche civilmente equilibrate, Brechner, impegnato a rileggere il cammino dell’Uruguay dal 1973 al 1985 attraverso la tragedia dell’incarcerazione di Pepe Mujica- che poi diventerà presidente della repubblica-, Eleuterio Fernandez Huidodro e Mauricio Rosencof , nel costruire un dramma non solo carcerario e politico, modificando di continuo il ritmo, usando tutte le corde possibili e immaginabili. La riuscita è felice:il film va oltre la cronaca dei fatti, non è per niente scontato, riuscendo a essere allo stesso tempo potente e poetico, disperato ed incalzante mai asfissiante. Poteva essere l’ennesimo dramma politico-carcerario. Non è così e questo è già un buon motivo per andarlo a vedere.

Bravo Brechner a creare dinamismo in ambienti chiusi
La storia di Mujica, Huidodro e Rosencof è nota: i tre, che appartenevano al gruppo rivoluzionario Movimiento de Liberacion Nacional Tupamaros vennero arrestati assieme ad altri sei e presi in ostaggio dai golpisti uruguagi. In caso di attentati ulteriori sarebbero stati i primi a essere giustiziati. Il loro status era qualcosa che andava al di là dell’essere prigionieri. Privati dei più elementari diritti, sottoposti a torture fisiche e psicologiche quotidiane, trasportati da un carcere segreto a un altro, impossibilitati ad avere qualsiasi contatto con l’esterno, vissero per dodici anni in condizioni disumane. È questo il lasso di tempo che Brechner, traendo spunto dal romanzo Memorie Dal Calabozo di Rosencof , collaboratore nella stesura della sceneggiatura, prende in esame. Lo fa tenendosi alla larga dalla tentazione di voler creare un semplice dramma carcerario monotematico. È grazie alla forte personalità della regia che La Notte dei 12 Anni si trasforma in un’autentica discesa nell’incubo. Ognuno dei tre protagonisti si confronta con l’orrore e con il proprio io che il regime vorrebbe estirpare. La loro è una duplice lotta di sopravvivenza: fisica e di sanità mentale. Per descrivere l’inferno in terra, Brechner non cade mai nel tranello di insistere sugli episodi orrorifici. Anzi tiene alta l’attenzione riuscendo a inserire con parecchia regolarità e nei momenti giusti episodi ironici che sdrammatizzano il contesto, permettendo di cogliere anche le sciocche storture derivanti dall’esagerazione del regime imposto ai tre ostaggi. Le guardie appaiono spesso sopraffatte dalla stupidità -straordinaria la scena in cui i carcerieri cercano a loro modo di risolvere il problema(burocratico) dei bisogni corporali di uno dei tre e se ne stanno lì, nelle latrine, a fianco del protagonista- o dall’ingenuità -alcuni si fanno scrivere lettere d’amore da Rosencof– e non sembrano avvertire il senso del ridicolo. Ma subito dopo Brechner ritorna a sondare l’animo dei suoi protagonisti, riporta lo spettatore a prendere coscienza di ciò che fu. Così lo fa ripiombare nel tragico tentativo di annullare l’individuo messo in opera da un regime così simile a tanti altri sudamericani di quell’epoca. Per narrare 12 anni di terrore usa episodi, li divide per ore. La costante scenica è quella dei carcerati gettati nelle segrete delle caserme, al freddo, non riparati, senza cibo, a dormire sulla nuda terra, esposti alle intemperie. I carcerieri controllano i prigionieri-ostaggi quasi sempre dall’alto. È come se Brechner voglia materializzare scenicamente il buco nero in cui i suoi resistenti sono stati cacciati. Non dimentica nemmeno le famiglie. Lo fa affidandosi all’onirico dei tre e ai pochi colloqui reali in cui l’intensità cresce al pari della disperazione. È grande cinema, lontano da schemi prefabbricati, perché in ogni secondo Brechner riesce a creare spettacolo , non dimenticandosi mai di emozionare senza voler strappare la lacrima facile e ad ogni costo. La Notte dei 12 Anni è pianto dell’anima ed è sgomento. Stati che giungono dalla capacità narrativa del regista, mai indotti in modo forzato o artificiale.

La conferma della potenza del cinema latinoamericano

È ormai da parecchi anni che il cinema sudamericano offre prodotti di qualità, superiori alla media, grazie all’opera di autori che prendono per le corna la storia dei loro paesi, rileggendola senza fare sconti. Pablo Larrain ne è l’esempio eclatante . Alvaro Brechner, al terzo lungometraggio in carriera, ha uno stile differente rispetto all’autore cileno, è regista diverso, meno cupo con un’innata capacità di spiegare il reale affidandosi spesso alle situazioni più assurde che sfociano, appunto, nel grottesco che fa riflettere. La Notte dei 12 Anni , tra i migliori film visti alla Mostra veneziana del 2018-è stato proiettato nella sezione Orizzonti- è la summa di questa filosofia registica. Bravissimi sono i suoi tre protagonisti, credibili, capaci di cambiare registro, espressioni, movimenti, di essere corali mantenendo sempre la personalità del singolo personaggio che devono interpretare. Dopo gli applausi, tanti e lunghi, tributati dal pubblico della mostra di Venezia è assai probabile che lo stesso si ripeta nelle sale dove La Notte dei 12 Anni è proiettato. Sono più che meritati per un film particolare, etico e allo stesso tempo fresco. Importante. Che arriva al cuore e alla coscienza.

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