The Post: memorabile lezione di etica della libertà e della funzione del cinema

Di The Post è già stato scritto tutto e chi, come me, ha visto il fim con ritardo di mesi non può aggiungere molto altro. Preme però confermare una sorta di imperativo categorico cinematografico: Steven Spielberg resta un autore base della nostra epoca e della storia perché, pur con i naturali e inevitabili alti e bassi, alla fine non sbaglia mai e quando prende a mano un impianto solo all’apparenza classicheggiante, come in questo caso, riesce a esaltare e a esaltarsi. The Post è un grande film, un magnifico congegno ad orologeria in cui ritmo, interpretazione, significati sembrano strumenti musicali che suonano un’imperdibile sinfonia.Non si tratta di osservare l’opera spielberghiana con l’occhio del giornalista che ammira sullo schermo colleghi di ben altro spessore e che viene catapultato nell’universo delle rotative, delle composizioni a piombo dei suoi primi anni professionali. Quel mondo, ormai scomparso, è ciò che contiene la storia di The Post ma non è il film.

SPIELBERG mitizza la stampa dell’epoca per parlare d’altro; la storia dei Pentagon Papers, del Washington Post, del durissimo confronto con l’establishment, ovvero il potere politico, sono sotterfugi per arrivare alla definizione di un’opera morale. Più che un film, The Post è una lezione di etica e un manifesto di fiducia incondizionata nel cinema e indirettamente nell’America stessa. Come se per l’autore statunitense i film alla fine siano l’ultimo baluardo per fronteggiare la prepotenza del potere, per smascherarla e denunciarla, per creare una coscienza civile, per far saltare il banco. The Post è questo; un sogno ad occhi aperti che spettacolarizza la morale, un ideale di celluloide scandito dai dubbi, morali appunto, dell’editore-proprietario del Post Katherine Graham alla quale Meryl Streep dona tutto il proprio repertorio di grande attrice. È attorno alla figura di Graham che il film ruota, non lambendo mai il rischio di ripetersi o di girare a vuoto. Perchè la camera segue il travaglio della donna, le sue iniziali debolezze, il senso di non accettazione da parte dei suoi consiglieri-nella realtà e nel film la donna aveva ereditato il ruolo dopo la scomparsa per suicidio del marito- che le instillano punti interrogativi che vanno ad aggiungersi ad altri privati. Dalla apparente inadeguatezza del personaggio nasce a poco a poco un’assunzione di personalità responsabile. Graham osserva, si macera nella propria solitudine, acquisisce le proprie sicurezze nel momento in cui la situazione sembra diventare ingestibile e il capitolare parrebbe una logica conseguenza. L’eroe di The Post è la sua figura.

SPIELBERG nel personaggio di Streep simboleggia il cittadino che prende coscienza dello stato delle cose e che anche a costo di perdere tutto ciò che ha conquistato ha il coraggio di mettersi contro, di urlare al mondo la verità.È una versione aggiornata e allegorica dell’American Dream che non è solo possibilità economica ma che per il regista ha come propria norma fondamentale l’equità della giustizia. Per questo The Post è un film politico: come se Spielberg voglia ammonire in primis e confermare poi che ci sarà sempre un modo di smascherare le malefatte del potere e il cinema ne sarà medium come a suo tempo e nel caso trattato lo fu la stampa. L’importante è assumersi la gravosa responsabilità di essere liberi.

TUTTO IL RESTO è spettacolo e narrazione come solo gli autori ebraico-statunitensi, non solo al cinema, sanno fare. La cronologia degli eventi è scandita battuta dopo battuta, in modo ficcante, preciso, puntuale. Si parte dal Vietnam, si vola verso gli Usa con un aereo governativo dove senza metafore viene svelata una verità da ammantare di bugie in pubblico, si arriva in un luogo segreto per trafugare documenti, si giunge nei salotti dell’alta finanza e infine al giornale e ai giornalisti, ai reporter che ancora telefonavano lontano dagli uffici per non essere intercettati. Sono spassose le frasi messe tra le labbra degli attori, gli alleggerimenti-la ragazzina che vende limonate in casa al padre e alla sua redazione tanto per citarne uno tra i tanti- l’uso divertito del cinema per ricordare con affettuosa nostalgia ciò che non è più-la scrivania che sobbalza quando le rotative si mettono in moto -o la non banalità dei discorsi di chi consiglia la Graham; infine la forza, l’entusiasmo di Tom Hanks nel non arrendersi. Il resto è e sarà storia, soprattutto certezza più che speranza che ci saranno individui e mezzi capaci di rendere il mondo responsabile. Perché senza etica non può esistere autentica libertà. Il cinema di Spielberg ci aiuta a ricordarlo.

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