Un film che non scalda gli animi
The Killer, nuova opera di David Fincher è un film tra i meno riusciti del suo regista. Abituati a opere di qualità da parte dell’autore statunitense ci saremmo aspettati qualcosa di più sostanzioso, soprattutto sotto il profilo psicologico del suo personaggio, fino a ieri la specialità della casa. Invece, eccettuati i minuti iniziali, Fincher ci propina una storiellina piatta in cui un killer professionista, dopo avere sbagliato la propria missione, è costretto ad eliminare coloro i quali gliela avevano commissionata. La distanza, abissale, dalle produzioni precedenti va forse ricercata dalla discendenza di The Killer dall’omonima graphic novel di Matz Nolent e Luc Jacamon perché il film si snoda proprio come un fumetto. Avevamo lasciato Fincher col pregevole, pur con qualche limite, Mank–Mank: splendido esercizio, troppo algido per i non cinefili– e con l’ottimo Gone Girl–Gone Girl : carneficina morale secondo David Fincher-. Lo ritroviamo stanco, privo delle proprie illuminazioni, lontanissimo da quel personalissimo modo di decifrare il contemporaneo.
Un incipit che non mantiene le promesse
È un peccato perché il film parte benissimo. Fincher piazza il proprio protagonista, Michael Fassbender, all’interno di una mansarda parigina. Sulle prime ci appare come la versione deliquenziale di James Stewart di La Finestra sul Cortile. È uomo che controlla, non dorme, osserva con il binocolo ciò che accade al di fuori alla ricerca del momento ideale per compiere la missione omicida. La voce fuori campo descrive la complessa relazione tra il sicario e il proprio mestiere, il vorticoso annullamento di ogni pietà, la rigida disciplina spogliata da qualsiasi rimorso di natura etica. È il classico personaggio amorale alla Fincher, specchio dei tempi. Di fatto il film si conclude qui: dopo sarà solo un gioco fatto di inseguimenti, scazzottate, uccisioni e poco altro. Tutto all’insegna di una qualità estetica superiore alla media, ci mancherebbe altro, ma ripetitivo con il risultato che nei capitoli in cui il film viene suddiviso non appaiono mai l’elemento a sorpresa, il dubbio, un punto interrogativo. The Killer si lascia guardare ma alla fine resta ben poco da ricordare.
Anche Fassbender è inespressivo
Michael Fassbender recita con la stessa espressione per l’intera durata dell’opera. Mette in mostra un fisico da atleta, temprato dal duro allenamento a cui si è sottoposto anche per motivi extracinematografici-gareggiare nel motorsport ad alto livello come fa lui lo impone- ma lascia da parte una qualità interpretativa che mai, prima di ora, era stata messa in discussione. Sembra egli stesso bloccato da un copione che non consente introspezioni. Fincher gli ha vestito addosso i panni di un acefalo sicario che ne azzecca poche e ne combina molte. Sa solo cambiare identità, nascondersi, vendicarsi, uccidere. Fassbender si adegua all’andazzo senza riuscire a stabilire un rapporto di complicità con lo spettatore. Lo stesso accade a Tilda Swinton, la cui sporadica presenza si eleva solo un poco rispetto agli altri personaggi. Tutti ridotti a stereotipi. Ed è forse ciò che voleva dirci David Fincher, mostrandoci il punto di non ritorno della nostra società.